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Bruno Ceccobelli, un grande protagonista dell'arte contemporanea a Ravenna

Bruno Ceccobelli si racconta a Ravenna Today, in occasione della duplice mostra site specific allestita presso il Museo Nazionale e la Basilica di Sant'Apollinare in Classe di Ravenna (fino al 30 ottobre 2016).

A proposito, in merito alla mostra e al dialogo con le icone al Museo Nazionale, tra arte antica e contemporanea: come si collocano le sue opere rispetto alle collezioni classiche, e quanto c’è della sua personale spiritualità?
"Quando penso a questa mia complessa esposizione qui a Ravenna con la vostra raffinata collezione di Icone, l’associo ad un’altra ricca esposizione che feci nel Museo Archeologico di Villa Adriana a Tivoli, nel 2003. Anche in quella occasione, aspiravo a ribadire con le mie opere simboliche spirituali, un concetto per me sempre attuale: la “Vera Arte” è senza tempo, non ha limiti di stile o di nazionalità  e dialoga alla pari, se ne ha la forza, con storie eterogenee dell’umanità. Perciò per me la “Vera Arte” è un'arte eclettica. Dicendo ciò, il pensiero va proprio ad Adriano che per me è un originale ideale di cultura e d’azione. Durante le sue occupazioni l’imperatore apprezzò e rispettò varie culture che conquistò e le bellezze architettoniche e artistiche che fece riprodurre con amore per la sua villa-città fuori Roma, erano la sua testimonianza e omaggio ad un Eclettismo Classico straniero. Pertanto il “classico” in arte e nella cultura in generale, per me, è la giusta armonia di pensieri e di aspirazioni dei rapporti nei vari canoni mondiali".

Invece, sulla grande installazione nella Sala della Sinopia, “Platò Peco Psico Pato”, nelle sue parole “un gregge di pecore dormienti, distese a tappeto”: perché questo titolo, e che cosa nasconde la sua idea di gregge?
"Come è noto, nella teologia cristiana, simbolicamente, la pecora è l’anima che il pastore, il Cristo, deve proteggere dai lupi. Oggi nell’Era Post-Human, le “pecorelle” attuali hanno pochissimi veri pastori, di conseguenza, seguendo istinti facili e quindi banali, si lasciano andare, addirittura si auto-ipnotizzano da sole, una vita dedita solo agli agi. Queste “pecorelle” godono ad essere smarrite, un gregge dormiente che sogna i consumi e non sa che si è fatto da sè merce scaduta".

Come può l’astrattismo moderno tradurre a un fruitore dei nostri tempi il concetto di sacro proprio di un’arte pregressa?
"Come sottolineavo prima, l’importanza della bellezza nella cultura, è tanto più valida per la religione cristiana dove da un certo momento in poi l’arte sacra diventa la consustanzione del Verbo. Addirittura, con l’Impero Bizantino, l’arte domina con il suo splendente stile musivo, la comunicazione e le regole di un vasto territorio, un linguaggio classico che unificò le diversissime tradizioni dell’Europa dell’epoca. Per me, uomo di fede, la mia arte astratta ha ancora un suo sottostrato di quella prospettiva centrale delle Icone Classensi, con ancora incorporato un valore salvifico e maieutico. Ci ritrovo quei segni di luce eterni, quei guizzi di colori particolari che si trasformano in amori, quei miracoli delle figure che si animano e ci sussurrano gioie e drammi unicamente umani".

L’installazione a Sant'Apollinare in Classe, un omaggio alla tradizione musiva: secondo lei, qual è l’eredità che il mosaico ha lasciato nell’arte del nostro tempo?
"La tradizione dell’arte musiva ha una manualità così peculiare che prende più campi e materiali, spazia dal marmo, alle pietre dure, dal ciottolo al vetro: è una via di mezzo tra la scultura e la pittura. Tutte queste tecniche sono un patrimonio indistruttibile di abilità e di conoscenza, per chi sa che la novità scaturisce dal lavoro delle mani che sbagliano. Nelle mie Pecorelle il riuso dei vari materiali che provengono dall’industria, già usati, non sono una novità, è un'operazione Dadaista, ma la mia composizione simbolica e la componente gestuale espressiva, insomma lo spirito di come tratto la materia, è particolare".

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