I classici della musica da camera con il Pacific Quartet Vienna
La musica da camera è un altro punto di riferimento delle molteplici proposte culturali del Festival. Anche quest’anno si potrà apprezzare questa espressione compositiva, grazie alla presenza del Pacific Quartet Vienna, una formazione composta da giovani musicisti provenienti dai quattro angoli del mondo, Giappone, Ungheria, Taiwan e Svizzera. Yuta Takase violino, Eszter Major violino, Chin-Ting Huang viola e Sarah Weilenmann violoncello si sono incontrati a Vienna, città crocevia della creazione musicale europea, dove a sede l’European Chamber Music Academy di cui il quartetto fa parte. Il concerto, in programma mercoledì alle 21.30 nel suggestivo Chiostro della Biblioteca Classense, offrirà uno spaccato di un secolo di musica da camera partendo da Scarlatti, per arrivare a Schumann; con al centro il genio di Mozart.
Hanno studiato, e si sono conosciuti, in una fra le maggiori istituzioni musicali del mondo, l’Università per la Musica e le Arti Interpretative di Vienna, che sta avvicinandosi ai due secoli di vita (è stata infatti fondata nel 1819) e che ha avuto come primo direttore del Conservatorio il grande Antonio Salieri. Non è un caso, quindi, se fra i repertori che il Pacific Quartet predilige, al primo posto c’è la musica della prima e della seconda scuola della capitale austriaca. Quella Vienna in cui Mozart compone i sei Quartetti dedicati ad Haydn; quello nella cupa e inquietante tonalità di re minore, proposto appunto a Ravenna Festival, è il secondo del ciclo, intriso di una tensione patetica «senza precedenti e con ben pochi rimandi futuri» (Giovanni Carli Ballola). Quella Vienna dove, attorno al 1838, Robert Schumann avrebbe voluto gettare le basi di una nuova vita insieme alla giovane moglie Clara Wieck, e a cui continua a guardare studiando i quartetti di Mozart e di Beethoven pochi giorni prima di dare alla luce i serrati dialoghi strumentali dell’op. 41 (in la maggiore). Quella Vienna che Alessandro Scarlatti mai vide, ma dove sbocciò il germe del quartetto d’archi che, con le sue Sonate a 4, egli aveva gettato all’ombra del Vesuvio. Insomma, un cerchio perfetto, per un concerto che si preannuncia di grande impatto emotivo.
Il programma si apre dunque con la Sonata a 4 in re minore n. 4 di Alessandro Scarlatti per due Violini, Violetta [viola], e Violoncello senza Cembalo, che il musicologo inglese Edward Dent ha definito «I più antichi quartetti d’archi». Il brano dovrebbe essere stato composto a Napoli, nell’ultimo decennio di vita dell’artista, tra il 1715 e il 1725. Celebre soprattutto per la ricchissima produzione vocale, sacra e profana (può essere tranquillamente considerato uno fra i fondatori della grande scuola operistica napoletana), il compositore di origini siciliane rivela anche nelle pagine strumentali non solo padronanza di linguaggio, ma una straordinaria carica innovativa. Come testimoniano, in questa pagina, l’energia della scrittura fugata, il cromatismo appassionato dei movimenti lenti e il giocoso e asimmetrico fraseggio del Minuetto finale.
La parte centrale del programma è dedicata a Wolfgang Amadeus Mozart e al suo “Quartetto in re minore K 421”. È il secondo dei sei dedicati a Haydn, una specie di omaggio devoto, seppure stilisticamente autonomo, ai suoi “Quartetti russi”. Mozart lo compone a Vienna, nel giugno del 1784: sarà la moglie Costanze a raccontare come nella magica notte del 17 giugno, insieme al primogenito Raymund, nasca questo quartetto. Si tratta dell’unica opera in minore di tutto il ciclo, nella cupa e inquietante tonalità del “Don Giovanni”. La spontaneità e la naturalezza dei Quartetti mozartiani sono anche in questo caso una realtà solo apparente in quanto, secondo le parole dello stesso compositore, ognuno di essi è «frutto di un lavoro lungo e difficile». Lavoro che emerge in questo K 421 nell’estrema concentrazione strutturale e nella tensione patetica dell’Allegro iniziale, nel sapiente contrappunto del Minuetto, nello sviluppo dell’Andante condotto verso audaci prospettive, nell’intensificazione drammatica dell’ultimo tempo, costruito in forma di tema con variazioni. E che il grande critico musicale Massimo Mila definirà come il quartetto mozartiano «più perfetto, drammatico e appassionato, carico di intensità».
Infine i giovani musicisti “naturalizzati” viennesi, eseguiranno il “Quartetto in la maggiore op. 41 n. 3” di Robert Schumann. Il 1842 è per Schumann l’anno della musica da camera, oltre ai tre quartetti dell’op. 41, compone un quintetto e un quartetto con pianoforte, ma l’interesse per la forma quartettistica era vivo in lui già da anni, da quando nella sua casa di Lipsia organizzava delle “quartettmorgen” (mattinate quartettistiche), in cui si riuniva il Quartetto di Ferdinand David per eseguire il repertorio più recente.
Ma, inevitabilmente, il modello per la generazione di Schumann erano i quartetti di Haydn, Mozart e Beethoven. Ed è soprattutto l’influenza di quest’ultimo che si avverte in questa pagina, nonostante i tratti indiscutibilmente personali come i temi asimmetrici, dal ritmo complesso, ricchi di sincopi, ma anche lo slancio romantico o la cantabilità intimistica. La calda espansione melodica del primo movimento sfocia in quella sorta di Scherzo eloquente che è l’Assai agitato, elaborato in forma di variazioni, quattro, sopra un tema di sedici battute. Alla robustezza tematica dell’Adagio segue infine l’Allegro molto vivace che si snoda secondo un dialogo tra le voci serrato e brillante.