Il live de Il Lungo Addio, il progetto del milanese Fabrizio Testa
Venerdì 27 luglio, ore 21.30, prende corpo all'Hana-Bi di Marina di Ravenna Il Lungo Addio, progetto dietro al quale si cela il musicista milanese Fabrizio Testa, giunto al suo terzo (e forse ultimo?) capitolo. Un progetto nato a Parigi con il cuore nella Romagna.
Il 30 giugno è uscito “Tutti nuotammo a stento”, il nuovo disco de Il Lungo Addio: doppio album, 12 pezzi, ghost track a cura di Alessandro Gori (Lo Sgargabonzi) per Tropico Records. Hanno suonato con Festa Paolo Mongardi, Sergio Montemagno e Francesca Amati degli Amycanbe. Prodotto registrato e missato da Luca Ciffo della Fuzz Orchestra, vanta la straordinaria partecipazione di Maurizio Glielmo, uno dei più grandi chitarristi blues italiani e del sax di Paolo Soldati. Il disco è stato masterizzato da Stefano Giungato a Indiehub.
Il progetto di “cantautorato romagnolo”, portato avanti dal musicista Fabrizio Testa parallelamente alla propria attività solista, Il Lungo Addio è nato a Parigi e il cuore nella Romagna, ma non quella delle hit estive sulla spiaggia e dei turisti avidi di avventure da raccontare al proprio ritorno, bensì quella segnata dalla malinconia di chi rimane, di coloro che aspettano "al buio con le persiane chiuse", perché "non c'è più nessuno che si vuole innamorare" (come canta Testa in "Fa freddo anche d'estate"). Più che una realtà, quindi, uno stato d'animo destinato a essere trascinato con sé ovunque si vada.
Il nuovo disco “Tutti nuotammo a stento” (Wallace Records) segue a “Fuori stagione”, del 2016, e a “Pinarella Blues” del 2014, esordio ufficiale del Testa cantautore che arrivava a sigillare un percorso di sei anni. Un periodo di tempo suggellato dalla pubblicazione di sei lavori autoprodotti e un 7”. “Pinarella Blues” trasportava un Fabrizio triste e provato dalle vicissitudini romagnole fra gli ombrelloni chiusi della spiaggia di Pinarella di Cervia. Due anni dopo il nostro si ripresentava con quell’immaginario decadente-esistenzialista – talvolta attraversato da un’amara ironia – che ormai lo contraddistingue e con quell’inconfondibile sound a base di malinconiche ballate acustiche che in quel lavoro assumevano di tanto in tanto connotazioni pop, ipnotismi new-wave, tristi andature ye-ye e abrasioni rock prima d’ora inedite, mentre a fare da collante è la voce arrochita dal fumo di un crooner in disgrazia. È così insomma che quegli otto brevi pezzi diventavano piccole cartoline dove non mancavano mai alberghi, spiagge e discoteche ma soprattutto sigarette, conquiste, sesso, cibo cattivo e pentimenti. Il tutto mentre la poetica di Fabrizio Testa si allarga da una dimensione “locale” a una più cosmica, che lascia spazio anche a una canzone sulla banda della Uno bianca e a una dedica a Marco Pantani.