La musica di Arto Lindsay omaggia Dante attraverso le parole di Carmelo Bene
Abbiamo ancora bisogno di ascoltare la voce di Dante: ne è convinto, Arto Lindsay, a quarant’anni da quella folgorazione ai piedi della Torre degli Asinelli, il 31 luglio 1981; quando, dalla sua sommità, Carmelo Bene declamava Dante per una città ferita, un anno dopo quelle maledette 10:25 alla Stazione di Bologna. Mercoledì 23 giugno, alle 21.30 alla Rocca Brancaleone, la dedica di Ravenna Festival al Poeta si arricchisce della prima di Voce e vortice, con cui Lindsay – agitatore di culture e scompigliatore di linguaggi che non ha mai smesso di assemblare ritmi e melodie lungo rotte inesplorate e sorprendenti – infonde nuova elettricità a un pezzo della nostra Storia di cui è stato testimone, per “suonare ancora quella Lectura Dantis, spremerla, esaltarla, farle dire tutto, ascoltarla e parlare con lei. Voglio aggiungere il nostro momento al suo momento, il nostro suono al suo suono, la nostra musica alla sua musica”. Al suo fianco per questa speciale rilettura una piccola e audace compagnia di musicisti-rumoristi: i droni sonori di Melvin Gibbs, anche direttore musicale, il canto carnatico di Roopa Mahadevan, la voce radicata e radicale della salentina Rachele Andrioli, il violoncello maestosamente umano di Redi Hasa. Per addentrarsi nel paesaggio sonoro della Commedia, là dove si riflette il dolore di ieri, il dolore di oggi.
“C’ero anch’io tra il pubblico accalcato sotto le torri di Bologna – ricorda Arto Lindsay – e compresi che Carmelo Bene aveva scelto Dante per interrogare e riaffermare le ragioni dell’umano di fronte all’orrore indicibile del terrorismo. All’epoca non avevo familiarità con l’italiano del XIII secolo e nemmeno troppo con quello del XX. Fu il suono ad impossessarsi di me, ad attraversarmi. Sentivo, respiravo, afferravo qualche parola. Era musica. È un ricordo fortissimo che mi sono portato dietro per quarant’anni”. Da questa memoria indelebile nasce un esperimento che lega il settimo centenario della morte di Dante al quarantennale della Lectura Dantis dell’attore salentino, un doppio tributo il cui tour non poteva che partire da Ravenna e dal suo Festival. “Inevitabilmente – continua Lindsay – affronteremo la Commedia dalla prospettiva presente, in quest’anno in cui portiamo tutti il peso di un’altra peste. I grandi capolavori possono sempre aiutarci a interpretare il tempo che viviamo; a volte è difficile vedere oltre la superficie degli eventi, ma l’arte aiuta a leggere tra le righe di ciò che accade, a volte anticipa ciò che sarà perché è visionaria, aperta alle possibilità”.
Nato in Virginia nel 1953 e cresciuto fra gli Stati Uniti e il Brasile nel periodo di massimo splendore del tropicalismo, Arthur Morgan “Arto” Lindsay è diventato una figura di spicco dell’avanguardia americana, una delle menti più vivaci della New York underground fine anni Settanta; Brian Eno lo nota quando milita nel trio DNA, lo stesso con cui Lindsay si trova in Italia nel 1981. Con DNA conquista il proprio posto nell’empireo del corrosivo no wave, ma – armato della sua Danelectro a 12 corde che suona e strapazza in un modo tutto suo – Lindsay ha fatto parte anche dei Lounge Lizards di John Lurie, nei Golden Palominos con John Zorn e Bill Laswell, ha collaborato con Caetano Veloso, David Byrne, Ry?ichi Sakamoto, Laurie Anderson, Tom Waits, Matthew Barney. Da solista ha pubblicato otto dischi e dai primi anni Duemila realizza anche performance, installazioni musicali, sonorizzazioni ambientali.
Biglietti: posto unico numerato 20 Euro, under 18 5 Euro.