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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Parte con il documentario di Bertolucci la rassegna cinematografica dedicata a Pasolini

L'omaggio di Ravenna Festival a Pier Paolo Pasolini passa anche dalla programmazione della Rocca Brancaleone che prende il via con il documentario "Pasolini prossimo nostro"

Fu certo per assecondare quell’ossessione espressiva che da sempre lo divorava, e fu protesta e rivolta contro l’italiano “ladro” divenuto lingua franca della seconda industrializzazione e dell’omologazione culturale; ma per Pier Paolo Pasolini il cinema fu soprattutto riscoperta del più antico e reale dei linguaggi – quello dell’azione, dell’essere umano colto nell’atto di vivere. Un cinema di poesia che Ravenna Festival, nell’anno in cui dedica la propria XXXIII edizione al centenario della nascita di Pasolini, celebra e riscopre con una rassegna cinematografica organizzata in collaborazione con Rocca Cinema. 

Il primo appuntamento, mercoledì 8 giugno, alle 21.30 alla Rocca Brancaleone, è con il documentario di Giuseppe Bertolucci Pasolini prossimo nostro (2006), che ci trasporta sul set dell’ultima e contestatissima pellicola di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma. Un percorso che si inaugura, dunque, dalla fine e dal “dopo-Pasolini” e che si rinnoverà per i tre mercoledì successivi con Medea (15 giugno), Uccellacci e uccellini (22 giugno) e Il Vangelo secondo Matteo (29 giugno), sempre alle 21.30 alla Rocca.

Dal brusio operoso del set affiora la voce calma e inconfondibile di Pier Paolo Pasolini, impegnato nel suo nuovo film – destinato ad arrivare postumo nelle sale – ma anche in un’articolata intervista con l’amico Gideon Bachmann. Fotografo, regista e giornalista di origine ebrea che dovette abbandonare la Germania durante il nazismo, Bachmann è stato in grado di raccogliere e documentare le vicende di alcuni dei più importanti set della storia del cinema, da Otto e mezzo di Fellini a Nostalghia di Tarkovskij. Scegliendo tra oltre 50 ore di conversazioni inedite, 3000 metri di negativo cinematografico, 7200 scatti di Deborah Beer dal set e centinaia di trascrizioni audio, Giuseppe Bertolucci ha creato un documentario-testamento sull’ultimo Pasolini, profeta inascoltato e disperato di una società devastata dall’omologazione culturale e dai soprusi del potere…quella società che nella Salò pasoliniana ha trovato la più cruda delle allegorie.

“Il termine fotoromanzo associato a un film maledetto come Salò sembra incongruo – spiegava Giuseppe Bertolucci del suo documentario – E invece a me pare assolutamente appropriato, perché di un foto-romanzo si tratta. Con Federica Lang abbiamo rivisitato il piccolo tesoro delle foto di scena di Deborah Beer e creato una sorta di sintesi dell’ultima opera di Pasolini sostituendo le immagini fisse alle sequenze cinematografiche. Ma l’archivio di Bachmann conteneva anche alcune preziose testimonianze dell’autore che abbiamo posto a commento del nostro fotoromanzo. Arrivando, io credo, a una rilettura inedita di uno dei film più sconvolgenti degli anni Settanta. Ne emerge, potente, la spietata analisi pasoliniana di una società italiana sempre in bilico sulla voragine del fascismo. Il suo grido d’allarme fu strozzato la notte del 2 novembre 1975, ma continua ad arrivarci, nitido e straziante.”

Salò o le 120 giornate di Sodoma è naturalmente ispirato all’incompiuto romanzo del Marchese de Sade e contiene riferimenti all’Inferno dantesco per altro già presenti nell’opera dello scrittore francese, da cui è stata coniata la parola “sadismo”. Ed è proprio il piacere del male che anima i quattro nobiluomini fascisti e nazisti del film pasoliniano: nella Repubblica di Salò Sua Eccellenza, il Duca, il Monsignore e il Presidente tengono ragazzi e ragazze prigionieri di una villa dove li sottopongono a torture psicologiche e abusi in un parossistico crescendo di violenza e degradazione. Così il volto terribile e grottesco del fascismo repubblichino si sovrappone all’immaginazione di un sovversivo come il marchese de Sade – pronto a rovesciare la visione illuminista dell’innata bontà umana – ma anche a una società dei consumi che sa digerire e metabolizzare ogni orrore e mercificazione, anche quella del corpo e del pensiero.

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