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Il premio Oscar Annaud a Ravenna: una storia del cinema da Sean Connery all'iPhone

Il regista francese svela i mutamenti del cinema dal passato all'avvento delle serie tv. E ricorda quando Umberto Eco non voleva Connery per "Il Nome della Rosa"

Dopo David Lynch, nel 2019 è un altro grande del cinema a fare tappa a Ravenna: si tratta di Jean-Jacques Annaud, ospite di punta (insieme a Liliana Cavani) dell'edizione 2019 di Ravenna Nightmare Film Fest. Per chi non avesse familiarità con il suo nome, basta dire che ha diretto Il Nome della Rosa (1986), film di strepitoso successo, con un monumentale Sean Connery. Ma il curriculum cinematografico di Annaud non si ferma certo qui.

Il regista francese ha esordito con Bianco e nero a colori, pellicola che vinse il premio Oscar come miglior film straniero nel 1977. In seguito ha portato orde di spettatori al cinema con altri grandi successi come Sette anni in Tibet (1997), Il nemico alle porte (2001), Due fratelli (2004), L'ultimo lupo (2015) ed è andata in onda recentemente la sua miniserie tv La verità sul caso Harry Quebert con protagonista Patrick Dempsey. Insomma un vero signore del cinema che vanta tra i suoi premi anche un David di Donatello, conquistato con Il Nome della Rosa.

E a Ravenna Jean-Jacques Annaud è venuto per incontrare il pubblico e raccontare qualche grande aneddoto sulla sua carriera nel mondo del cinema. Passando dal passato al presente, dall'amicizia con Umberto Eco alle nuove frontiere dei film.

Il cinema nell'era delle serie tv

Inevitabile parlare del suo ultimo lavoro, del quale è regista e produttore: La verità sul caso Harry Quebert, un'opera con cui Annaud è approdato al "nuovo mondo" delle serie televisive. Tutto era partito dal libro best seller di Joël Dicker.

"Mi era molto piaciuto, era un libro corposo, una storia emozionante, ma mi sono subito accorto che non avrei potuto adattarlo nelle due ore di un film. Nei miei anni di lavoro ho imparato ad andare in altre direzioni rispetto ai miei colleghi registi. Mi piace seguire il divenire del mondo. Così sono approdato alla serie tv, proprio in un momento in cui la televisione sta in effetti mangiando il cinema".

Il regista approfondisce poi il tema del cambiamento del cinema nella sua ultra-quarantennale carriera.

"Con internet è arrivato un nuovo tipo di intrattenimento che attrae in special modo i giovani. E anche altri miei colleghi (come Spielberg e Woody Allen) sono approdati alla televisione. Nuovi soggetti e nuove sfide. Bisogna prepararsi a un mondo molto più veloce e a un pubblico che ormai guarda i film anche sui telefonini. Con La verità sul caso Harry Quebert ho dovuto condensare 80 ore di registrazioni in 9 ore di contenuto e mi sono divertito molto ad affrontare questa avventura. Però bisogna essere consapevoli di una cosa: il fututo non è solo tv o solo cinema. Il futuro è di entrambi".

Jean-Jacque Annaud ospite a Ravenna

Il Nome della Rosa: come adattare un capolavoro

Ancor più inevitabile era discutere con il regista del suo film più vicino all'Italia: Il Nome della Rosa. Annaud tra l'altro racconta la sua grande amicizia con Umberto Eco, autore del libro, e di come entrambi, inizialmente, non credessero nel successo dell'adattamento cinematografico.

"Quando vidi che il libro vendeva copie su copie mi preoccupai, perché non volevo confrontarmi con un capolavoro. Ricordo che ero a casa sua e sua moglie apprese in una telefonata dalla Germania che solo là il libro aveva già venduto centinaia di migliaia di copie".

Per fortuna il film si fece lo stesso e Annaud comprese qual era la sua missione.

"Quando adatto un film da un grande libro, io creo quel film anche per le tante persone che quel libro non lo hanno letto, nè lo leggeranno mai. Perciò cerco di dare a quelle persone ciò che io ho amato di più di quel libro".

Il cast di Connery: "inizialmente nè io né Eco lo volevamo"

Il regista svela un grande amore per il cinema italiano da Ettore Scola a Federico Fellini. Forse fu anche questo a farlo arrivare al best seller di Eco. Annaud stava ancora lavorando alla sceneggiatura quando l'agente di Sean Connery bussò alla sua porta per il ruolo di protagonista.

"Ho resistito un anno prima di accettare Sean Connery come protagonista de Il Nome della Rosa - rivela il regista - Questo perché ritenevo che fosse un ruolo molto intellettuale. Guglielmo da Baskerville ricordava già Sherlock Holmes e non volevo che finisse per assomigliare a 007 sul set. Poi un giorno Sean Connery venne a parlare con me e mi disse 'Ragazzo, adesso ti siedi e ti leggo il copione'. Quando lo sentì, realizzai che era esattamente come il personaggio che avevo ideato".

Il problema fu comunicare la notizia a Umberto Eco.

"Eravamo appena usciti da un ristorante a Milano e mentre passeggiavamo lui mi chiese se avessi già trovato un attore. Quando gli dissi che avevo scelto Sean Connery lui esclamò 'Non è possibile! Ma tu sei pazzo!'. In seguito Eco venne circa ogni 15 giorni sul set, finchè un giorno gli presentai Sean Connery. Entrarono nella roulotte dell'attore e vi restarono per 20 minuti. Quando uscì era bianco in volto e mi disse: 'è molto competente... nel football'".

Annaud continuò a girare e Umberto Eco giunse a fine lavori per guardare il film in anteprima.

"Dopo aver visto il film mi abbracciò e mi disse: 'La cosa che temevo di più (Sean Connery nel ruolo di Guglielmo, ndr) è stata la cosa in cui hai avuto maggior successo'. E io mi sentì davvero felice per quelle parole".

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