Si presenta il libro "L'ultimo lenzuolo bianco. L'inferno e il cuore dell'Afghanistan"
"I talebani e i mujaheddin indossano una maschera: usano l'Islam, ma non lo rispettano. Inseguono solo il potere e il denaro. Violentano le donne e i bambini. Il popolo afghano, il mio popolo, deve aprire gli occhi". Parola di Farhad Bitani, classe 1986, ex capitano dell'esercito afghano, nato e cresciuto immerso nella violenza. Durante la sua infanzia ha vissuto la guerra da vincitore, perché suo padre era uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto il potere sovietico; poi l'ha osservata dal basso dell'anonimato quando il padre viene fatto prigioniero a Kandahar nel 1997 e tutta la famiglia è costretta a nascondersi vivendo nella miseria più profonda; più tardi l'ha vissuta da militare, combattendo egli stesso contro i talebani. Nel 2011 rimane ferito durante un attentato alla sua vita messo in atto dai talebani, ottiene dall'Italia lo status di rifugiato politico e inizia a scrivere le sue memorie. Nasce così L'ultimo lenzuolo bianco. L'inferno e il cuore dell'Afghanistan (Guaraldi) che sarà presentato presso la Libreria Itaca di Castel Bolognese (via dell'Industria, 249) sabato 14 maggio alle ore 17.
Un miracolo editoriale: il libro ha venduto oltre 10mila copie, delle quali 3.100 sono state autografate dall'autore negli oltre 150 eventi di presentazione che lo hanno visto protagonista in tutta Italia e anche all'estero. Al tavolo degli oratori si sono seduti con lui giornalisti, ministri, docenti e personalità religiose cristiane, islamiche ed ebraiche. Tutti sono stati travolti dalla freschezza della sua testimonianza, tutti sono rimasti turbati e affascinati dalla sua storia. Una storia raccontata in questo libro denso di episodi estremi ai quali Farhad ha assistito personalmente: feste di capi mujaheddin completamente ubriachi che violentano ragazzini; talebani che, dopo infuocati sermoni sulla depravazione dei costumi occidentali, sfrecciano con le loro Ferrari o si sollazzano nelle loro ville faraoniche tra droghe e prostitute di lusso; leader che nei comizi esortano il popolo a risparmiare per il bene del Paese e poi si immergono in vasche piene di latte per "mantenere la pelle giovane". C'è questo e molto altro nel racconto di Bitani, scritto per soddisfare una tremenda esigenza di verità: "Pronunciare la verità è un piccolo gesto, in fondo. La vera sfida è accettarla. E ancor di più, accoglierla come propria storia personale. Solo la verità può liberare il mio Paese".
Nel libro, infatti, non compaiono solo le nefandezze operate da bande di criminali rivestite da un credo religioso immaginario, ma appare anche la denuncia della corruzione e del malaffare che rendono inutili gli aiuti umanitari occidentali e, soprattutto, emerge il percorso personale che lo ha condotto ad uscirne fuori e a recuperare il suo umano: di fronte all'accoglienza e ad una religione di rispetto dell'altro trovata in Italia, Bitani riscopre un modo nuovo per recuperare la propria religione musulmana e con essa la propria identità. Ciò che sorprende nella sua testimonianza, dunque, non è lo schema che vede il passaggio dall'islam estremista all'islam moderato, ma il suo insistere sul fatto di essere un musulmano che ha approfondito la sua fede in Dio "grazie a un amore più grande che è entrato nella mia vita e l'ha cambiata. Ho scoperto che, pur con tutta la violenza che ha caratterizzato la mia vita nell'infanzia e nella giovinezza, nel mio cuore è sempre rimasto un punto bianco che non è stato cancellato; questo punto bianco ha iniziato a emergere quando ho incontrato persone, diverse da me per cultura e religione, che mi hanno amato gratuitamente. Ho cominciato a confrontarmi con loro. Il cambiamento che è avvenuto in me può accadere a tutti, perché tutti gli esseri umani nascono con questo punto nel cuore".