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Al Teatro Alighieri la Trilogia dedicata a Verdi e Shakespeare: Macbeth, Otello e Falstaff

Dopo il successo e l’entusiasmo suscitati lo scorso autunno dalla Trilogia “popolare”, Rigoletto, Trovatore e Traviata, con cui Ravenna Festival aveva anticipato le celebrazioni del bicentenario verdiano, era inevitabile chiudere quelle stesse celebrazioni riproponendo la fortunata formula

La Trilogia d’Autunno dedicata a Verdi e Shakespeare che conclude Ravenna Festival 2013 presenta al Teatro Alighieri, l’uno dopo l’altro e a stretto confronto fra loro, i tre grandi capolavori nei quali il genio teatrale del musicista italiano viene esaltato dall’incontro con le opere del più grande drammaturgo della storia: Macbeth (8, 12 e 15 novembre), Otello (9, 13 e 16 novembre) e Falstaff (10, 14 e 17 novembre). Dopo il successo e l’entusiasmo suscitati lo scorso autunno dalla Trilogia “popolare”, Rigoletto, Trovatore e Traviata, con cui Ravenna Festival aveva anticipato le celebrazioni del bicentenario verdiano, era inevitabile chiudere quelle stesse celebrazioni riproponendo la fortunata formula.

Ecco dunque “Verdi & Shakespeare”: nuova Trilogia incentrata sul rapporto complesso e profondo tra questi due grandissimi autori e quindi articolata nelle tre opere che Verdi compose attingendo dai drammi shakespeariani messe in scena in scena l’una dopo l’altra, in tre serate consecutive, per la regia di Cristina Mazzavillani Muti. Una passione, quella per la dimensione e le qualità umane evocate dai versi di Shakespeare, che attraversa tutta la vita del compositore bussetano: è in essi che egli ravvisa il modello fondamentale verso il quale orientarsi alla ricerca di un nuovo ideale di melodramma; ed è a partire da essi che individua i meccanismi capaci di restituire in musica la complessità dell’universo interiore dell’uomo. Infatti, quando più forti si fanno gli stimoli all’innovazione e i ripensamenti estetici, è a Shakespeare che Verdi si rivolge: con Macbeth, primo importante esempio di drammaturgia anticonvenzionale, votata al realismo psicologico dei personaggi, fino ai capolavori dell’estrema maturità, Otello e Falstaff, inattesi ed oramai del tutto estranei al pensiero melodrammatico ottocentesco.

Ma l’innovazione è anche la cifra stilistica che caratterizza questa nuova Trilogia d’autunno: innovazione che passa attraverso l’uso delle nuove tecnologie – in particolare nel versante video-scenografico –  e che è soprattutto legata al coinvolgimento di giovani cantanti, molti di loro già affermatissimi e lanciati proprio dal Festival, altri selezionati nel corso di molteplici audizioni, che in molti casi affrontano i ruoli assegnati per la prima volta, o finora mai impegnati su palcoscenici italiani. Tutti chiamati ad agire in un contesto laboratoriale che consente loro di sperimentare nuove modalità di approccio al testo e di approfondire vocalità e gesto teatrale attraverso un esteso periodo di prove.

Una dimensione di laboratorio “totale” che investe tutta la scena e che permette di trasformare ogni sera il palcoscenico in un nuovo universo: «un meccanismo scenico modulare – spiega la regista a cui si deve anche l’ideazione scenica – fatto di nude quinte e di uno spazio in cui muovere pochi semplici elementi, scale e scalette, cunei che diventano piani inclinati, torri e torrette, passerelle, un cassone... che si compongono per assorbire luci ed immagini diverse per ognuno dei tre titoli». Così se Otello vive dell’affascinante contrasto tra luce e oscurità, Falstaff prende corpo attraverso la magia delle proiezioni, ovvero le immagini dei luoghi verdiani (Roncole, Sant’Agata, Busseto) catturate dagli scatti fotografici dei giovani partecipanti al progetto VerdiWeb 2012.

Mentre in Macbeth, dove le due dimensioni convivono, lo scenario visuale è ispirato ai lavori grafici di Alberto Martini (1876-1954), precursore del movimento surrealista:  «l’ho scoperto quasi per caso – sottolinea ancora Cristina Muti – e la sua forza espressiva mi ha attratto ancora prima di sapere che proprio Macbeth era stato uno dei suoi soggetti prediletti... le sue illustrazioni mi sono sembrate assolutamente indispensabili, le migliori per impaginare quest’opera». Un triplo allestimento, quindi, ed un lavoro lungo e complesso reso possibile dall’esperienza e dall’affiatamento di un team creativo oramai consolidato: quello composto da specialisti come il light designer Vincent Longuemare, il visual designer Davide Broccoli, lo scenografo Ezio Antonelli e Alessandro Lai che firma i costumi. Nonché, sul versante squisitamente musicale, dalla freschezza interpretativa dei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini, recentemente rinnovata nei suoi componenti, diretta da Nicola Paszkowski e affiancata dal Coro del Teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati. I movimenti coreografici dei DanzActori sono curati da Catherine Pantigny.

«Mettere in scena contemporaneamente tre nuove produzioni è uno sforzo titanico per il Festival – afferma il Sovrintendente Antonio De Rosa – e rappresenta al tempo stesso una straordinaria opportunità per la nostra città. L’inedita formula della trilogia, accolta lo scorso anno con grande favore dal pubblico, conferma oggi più che mai la sua validità con tutte le recite che si stanno avviando al sold out e i dati che testimoniano una rinnovata, confortante, presenza di pubblico internazionale. Voglio infine sottolineare come l’intero progetto sia reso possibile grazie al determinante contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, di un mecenate ‘amico’ del Festival come Hormoz Vasfi, al sostegno di imprese come CMC, Unicredit, Gruppo Nettuno e Poderi dal Nespoli che sostengono questo grande sforzo produttivo.»

Si parte quindi con Macbeth (venerdì 8 la prima, repliche il 12 e il 15 sempre alle 20.30) composto nel 1847 su libretto di Francesco Maria Piave e rivisto per le scene francesi nel 1865 (è quest’ultima la versione scelta, senza i ballabili, per questa messa in scena). Macbeth rappresenta per Verdi un fondamentale banco di prova per il ripensamento delle tradizionali forme musicali (come testimoniano pagine quali la Gran scena e Duetto di Macbeth e della Lady nel primo atto oppure la grandiosa Scena del sonnambulismo di lei nel quarto), e al tempo stesso un soggetto che gli permette di indagare una tra le tematiche a lui più care: il potere e le conseguenze del suo abuso. «Macbeth – precisa Cristina Muti - è un valoroso che ancora non conosce se stesso: credeva di essere forte, ma al primo inciampo si ritrova debole come un bambino. Lady Macbeth a sua volta crede di essere capace di reggere le fila dell’intrigo e, insieme, di supplire alla debolezza del re, che spinge fino all’assassinio: ma anch’ella si era illusa sulle proprie forze, e la sua pazzia non è che l’esito inevitabile di questo suo errore. In un certo senso sono intercambiabili: lei è innamorata del potere, lui è innamorato di lei e, attraverso lei, del potere, o dell’illusione del potere. Ma Verdi sembra comunque amarli tutti e, in un certo senso, ce li fa amare tutti, per la sua debolezza, Macbeth, per la sua pazzia, Lady Macbeth».

I ruoli principali della compagnia di canto sono interpretati da: Evez Abdulla, basso dell’Azerbaijan al suo debutto in Italia che darà voce a Macbeth, Lady Macbeth è la coreana Vittoria Ji Won Yeo che debutta nel ruolo come il russo Andrej Zemskov (Banco) e Giordano Lucà (Macduff). Completano il cast Antonella Carpenito (Dama di Lady Macbeth), David Ferri Durà (Malcolm), Carlos Garcia Ruiz (Medico) Alessio Verna (Domestico), Lorenzo Malagola (Sicario).

Sabato 9 novembre (repliche 13 e 16 sempre alle 20.30) è la volta di Otello. Opera che, dopo quasi 17 anni di silenzio compositivo, interrotti solo dalla Messa da Requiem, nel 1887 irrompe al Teatro alla Scala con tutta la forza della novità inattesa. Verdi torna a Shakespeare dopo quarant’anni dal Macbeth, con un dramma che riletto nel libretto di Arrigo Boito gli consente più di ogni altro di concentrarsi sulla dimensione psicologica dei personaggi, sulla loro interiorità, abbandonando definitivamente i modelli formali “chiusi” della convenzione melodrammatica e realizzando un miracoloso equilibrio tra una vocalità varia e mobilissima, attenta a ogni inflessione della parola, e un fluire musicale capace di seguire l’azione e il dialogo con timbri e colori armonici di estrema modernità. «La gelosia, l’amore... un soggetto che sembra essere fatto per i nostri giorni. Otello, nato schiavo e divenuto capitano per il valore della sua spada, tutto forza e istinto. Poi Jago, che impersona il peggio dell’umanità: dopo aver tessuto la sua tela di ragno, Verdi lo fa uscire di scena senza neppure la dignità della morte. Tra i suoi personaggi è l’unico che non possiamo amare, che Verdi stesso non ci chiede di amare».

Conclude il primo intenso week end ‘all’opera’ Falstaff, in scena domenica 10 novembre alle 15.30 (repliche il 14 alle 20.30 e il 17 alle 15,30). L’ultima opera composta da Verdi, quasi ottantenne, arriva pochi anni dopo Otello e il prodigio si ripete nel 1893, di nuovo con la collaborazione di Boito in qualità di librettista. Dopo la prova acerba e non felice di Un giorno di regno, è la prima volta che Verdi affronta il genere comico, e lo fa non cercando di rinverdire la gloriosa tradizione buffa del passato, ma dando vita ad una commedia lirica che, ruotando attorno al goffo cavaliere shakespeariano, appare intrisa di un disincantato umorismo. Le passioni di sempre, amore, attrazione, gelosia... sono osservate e vissute con la bonaria ironia di chi può guardare alle miserie umane da una posizione di compiaciuto distacco. «Il “Tutto nel mondo è burla” che chiude l’opera è il congedo di Verdi a se stesso, al mondo, ai critici e al proprio pubblico. E in tante pieghe di questa partitura credo siano nascosti il viso e il sorriso di Verdi. Non è forse lui che per tre volte ripete insieme a Falstaff “Son io, son io, son io che vi fa scaltri”?. E chi, se non Verdi, poteva a buona ragione proclamare dall’alto della sapienza suprema della sua ultima opera: “Siete dei rozzi artisti”?»

VerdiWeb 2.013
Una nuova trilogia dedicata ai giovani, e per i giovani, non poteva essere immaginata senza riproporre VerdiWeb il progetto che ha impreziosito e sottolineato la prima edizione. Sulla scia della felice esperienza dello scorso anno il lungo calendario di prove al Teatro Alighieri è stato infatti aperto ai ragazzi ammessi a VerdiWeb 2.013, nuovo laboratorio-banco di prova dedicato a foto, video e scrittura che ha preso vita sul sito www.verdiweb.it e nel quale gli autori hanno caricato quotidianamente i contributi frutto della partecipazione alle prove. 29 i partecipanti, selezionati fra le moltissime candidature ricevute, provenienti da tutt’Italia, da Palermo a Torino. VerdiWeb anno secondo conferma così di essere un’ambita palestra creativa in cui poter esplorare i linguaggi espressivi, acuire ed affinare i cinque sensi in una pratica pressoché quotidiana di esplorazione e ricerca, parallela a quanto avviene nell’intero spazio teatrale, non solo il palcoscenico… ma il teatro come edificio, come mondo in cui avvengono simultaneamente tante cose e che coinvolge decine di persone variamente all’opera. «Vale davvero la pena – afferma Franco Masotti coordinatore del progetto - ‘sbirciare’ tra i profili dei ‘ragazzi’ (età media: 25 anni) per trovarvi una grande voglia di mettersi in gioco, di affacciarsi in un mondo ai più sconosciuto ma proprio per questo ancor più misterioso ed attraente, e scoprire nelle fotografie, negli scritti e nei video postati una capacità di raccontare e svelare con curiosità quanto avviene nell’oscurità operosa del teatro, rendendoci partecipi di un’esperienza solitamente segreta e inaccessibile. E’ anche questo il carattere di ‘laboratorio’ impresso al lavoro teatrale di Cristina Muti che si espande ed ingloba via via nuove esperienze, nuove creatività individuali che tutte assieme costruiscono l’Opera.»

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