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Intervista alla Sutter: "Reddito di cittadinanza per contrastare la povertà crescente"

Nostra intervista alla candidata di Ravenna in Comune. Tra welfare, impegno a valorizzare i giovani talenti e strategie per rendere la città più sicura.

Sessant’anni, sociologa, ex dirigente comunale, Raffaella Sutter è il candidato sindaco di Ravenna in Comune, lista civica nata dall’unione tra movimenti civici con le varie anime della sinistra rimaste fuori dal governo della città oppure deluse dal rapporto con il Pd e con l’amministrazione Matteucci. 
Il programma che ne è scaturito è stato presentato qualche giorno fa con la formula della “mappa mentale” (mind-map) per consentire a tutti di vedere, in senso fisico, le interconnessioni tra un settore di intervento e l’altro.
Abbiamo incontrato Raffaella Sutter nella sede del suo comitato elettorale per rivolgerle qualche domanda su alcuni aspetti del programma.

Sociale e welfare sono punti di primo piano nel vostro programma. Voi proponete di introdurre il reddito di cittadinanza comunale. Come pensate di raggiungere questo obiettivo? Dove trovereste le risorse?
“Il reddito minimo di cittadinanza è uno strumento importante per fronteggiare una situazione grave di povertà dovuta anche alla diffusione di precarietà e lavoro grigio. Sempre più persone sono povere pur lavorando. Alla povertà fanno spesso seguito altre conseguenze come la perdita della casa e la frammentazione familiare. Per quanto riguarda le risorse, oggi credo che ci sia una grande dispersione. L’Asp gestisce tutta l’assistenza economica, ma in maniera frammentaria e puntando molto sulla cronicità, quindi non investendo su quegli strumenti che potrebbero aiutare le persone a non cadere in uno stato di povertà. È più facile assistere utenti cronici che non fare progettualità per chi sta per cadere. Gli strumenti utilizzati, come il pagamento delle bollette o dell’affitto, non rendono le persone più autonome. L’idea che abbiamo non è un reddito minimo indifferenziato, ma un progetto che tenga conto delle situazioni specifiche delle persone. Vedendo le esperienze fatte all’estero, credo possa essere un esperimento interessante, che non ci costerebbe di più di quanto il Comune spende adesso. Istituire il reddito minimo di cittadinanza non sarebbe comunque sufficiente, andrebbe accompagnato da altri strumenti”.

Proponete il superamento dell’Asp (Azienda di servizi alla persona) nella gestione dei servizi sociali?
“Sì e qualcosa si sarebbe già potuto fare. Nel 2013 la normativa sulle Asp è stata cambiata, dando la possibilità di gestire i servizi sociali in diverse forme, sempre pubbliche: un’azienda, come l’Asp, i Comuni o le Unioni dei comuni. Introduceva anche la possibilità di avere un amministratore unico, fin da subito, mentre Ravenna ha fatto la scelta di mantenere anche il consiglio di amministrazione della Asp. Si poteva trovare una forma di semplificazione che consentisse una maggiore trasparenza. Uno dei nodi critici da risolvere è proprio la contraddizione che spesso c’è tra gli indirizzi comunali e ciò che l’Asp fa. Questo è uno dei motivi principali per cui si vuole riportare la gestione in capo ai Comuni. Se Asp fosse stata gestita bene oggi non saremmo qui a discuterne. Anche perché ai cittadini non interessa la forma di gestione, ma la qualità dei servizi. Ed è quella che oggi manca, perché l’Asp è soltanto una stazione appaltante. Tutto è stato demandato al privato sociale, mancano tecnici qualificati in grado di fare supervisione. Oggi non c’è nemmeno più integrazione tra sociale e sanitario, che doveva essere il fiore all’occhiello del nostro welfare”.

Come pensate di affrontare, invece, la crisi occupazionale? Quali strategie proponete per incentivare il lavoro giovanile, ma anche aiutare chi il lavoro lo ha perso e fatica a ritrovarlo?
“Il Comune non ha competenze specifiche rispetto al creare lavoro. Cosa può fare direttamente? Intanto, creare un osservatorio specifico sul tema dell’illegalità del lavoro e della precarietà, per avere un monitoraggio costante di quanto sta avvenendo. Poi, il Comune può cominciare da sé stesso, adottando un protocollo per garantire capitolati di appalto e convenzioni che garantiscano redditi minimi e non precarietà ai lavoratori. È importante anche dare percorsi di formazione e orientamento ai giovani e non solo. Diversi Comuni hanno adottato politica di incentivazione e defiscalizzazione alle imprese del commercio e dell’artigianato. E questi sono strumenti che possono essere messi in campo. Credo che il Comune debba dedicare particolare attenzione alle fasce d’età che non trovano sostegno altrove, a chi voglia fare anche piccola imprese nelle zone più critiche, come il centro storico e il forese. In quale misura prevedere gli incentivi? Per questo sarebbe importante avere un osservatorio specifico. La defiscalizzazione, per esempio sulla tassa rifiuti, va comunque accompagnata alla tariffazione puntuale. Una leva interessante sono anche i contributi diretti alle nuove piccole imprese”.

Nel vostro programma ripetete che “con la cultura si mangia”. Possibile che nella città che poteva diventare Capitale europea della cultura 2019 si investa così poco nel settore?
“A Ravenna l’università non è sufficientemente valorizzata in termini di ricaduta e di ricerca sulla città. Tutte le competenze, enormi, che ci sono a Scienze ambientali non sono minimamente valorizzate. Stesso discorso per Beni culturali. Ci sono conoscenze e testi scritti da ricercatori e studenti che potrebbero essere utilizzati anche per il turismo. Si potrebbero sviluppare delle app multimediali in collaborazione con l’università. Dobbiamo sprovincializzarci”.

Anche perché Ravenna vanta dei talenti premiati all’estero ma misconosciuti in città.
“Il Comune dovrebbe fare marketing diretto, attraverso una maggiore professionalizzazione dei giovani artisti, dei giovani talenti. E anche nelle convenzioni e nei contributi si dovrebbe premiare di più la produzione. Chi fa cultura e spettacolo non è un hobbista, ma un professionista. I soggetti più importanti della cultura ravennate, come Ravenna Festival e Ravenna Teatro, devono essere sempre di più incubatori di nuove realtà e leve di professionalizzazione. C’è bisogno di più collaborazione: grosse e consolidate manifestazioni culturali come Ravenna Festival dovrebbero avere il compito specifico di fare da vetrina ai giovani locali. Il Comune dovrebbe stimolare la cooperazione tra i diversi soggetti. Pensiamo a tutti i ‘pasticcini’ fatti per la Casa del cinema: se ci fosse stato un progetto culturale importante, facendo collaborare tutte le associazioni, forse ora ci sarebbe un polo cinematografico”.

La sicurezza non è mai stata un tema particolarmente caro alla sinistra, mentre nel vostro programma è molto presente.
“Oggi si parla solo di sicurezza urbana, ma le sicurezze sono tante e correlate tra loro. Più ci sono sicurezza economica e coesione sociale e più c’è sicurezza urbana. A Ravenna basterebbe applicare alla lettera la normativa regionale, che è chiarissima. Al primo punto si mette la pianificazione urbana, che deve tener conto di parametri che garantiscano la sicurezza (luci, mix abitativo che non crei zone disabitate ecc…); poi, la polizia va accompagnata con operazioni di mediazione dei conflitti e di prevenzione del danno. A Ravenna poi non si è lavorato sulla realizzazione di una vera polizia di prossimità. La questura li aveva introdotti, ma non trovando una controparte reale nel Comune hanno abbandonato il progetto. Ma i poliziotti di quartiere vanno reintrodotti. Poi c’è la sicurezza partecipata con la cittadinanza: si può fare volontariato e collaborare. Spesso le iniziative dei cittadini sono state invece criminalizzate. Ben venga poi l’uso di tecnologie innovative, che consentirebbero anche una raccolta dati importante sulla microcriminalità”.
 

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