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Ius scholae, siamo primi in Italia per numero di studenti senza cittadinanza. Bakkali: "E' tempo di dire sì"

La crescita è tale che si è dovuto derogare al limite del 30% di allievi stranieri per classe: in Emilia-Romagna, nel 2020, si è derogato per 3.800 sezioni e classi (il 15% del totale)

L'Emilia-Romagna è la regione con la percentuale più elevata di alunni immigrati senza cittadinanza sul totale degli studenti. E' emerso giovedì durante la seduta congiunta delle commissioni Parità e Cultura della Regione, convocata per discutere del cosiddetto "ius scholae", cioè la cittadinanza italiana agli studenti stranieri che nel nostro Paese vivono e seguono un percorso scolastico.

Secondo quanto illustrato dal vicedirettore generale dell'ufficio scolastico regionale Bruno Di Palma, in particolare, la provincia di Piacenza è quella con il maggior numero, in percentuale, di studenti senza cittadinanza (25,8%), mentre Bologna, Modena e Reggio Emilia lo sono in valore assoluto. Negli ultimi anni, sono aumentati i paesi di provenienza degli alunni nelle scuole pubbliche, oggi 173, mentre nel 2020 erano 66. Alcuni hanno percentuali più elevate (Marocco 16%, Albania 15%, Romania 12,7%, e poi Cina, Moldavia, Pakistan e infine Ucraina). Nelle scuole paritarie la percentuale più alta è a Ravenna con il 14,2% e Ferrara 13,8%.

Di Palma rileva che gli alunni senza cittadinanza sono in aumento anno dopo anno: "Una grossa fetta sono nati in Italia. La loro presenza ormai è strutturale". La crescita è tale che si è dovuto derogare al limite del 30% di allievi stranieri per classe: in Emilia-Romagna, nel 2020, si è derogato per 3.800 sezioni e classi (il 15% del totale).

"È ormai giunto il tempo di rispondere sì alla domanda di partecipazione, inclusione, visibilità che arriva da una parte importante e numerosa della popolazione giovanile di questo Paese - commenta la vicesegretaria regionale del Pd Ouidad Bakkali - Perché la domanda è proprio questa e la immagino così formulata: “Sono italiana, non ho scelto di esserlo, lo sono diventata nel momento in cui sono nata in un ospedale italiano, lo sono diventata nel momento in cui ancora piccola e inconsapevole ho migrato dal paese di origine della mia famiglia e sono arrivata nel quartiere dove sono cresciuta. No, non ho scelto di essere italiana, ma lo sono! Eppure devo ancora chiedere di essere riconosciuta come tale. Mi vedi? Sono proprio qui davanti a te!”. La cittadinanza del Paese nel quale si cresce, del quale si parla la lingua, del quale si condividono sviluppi, crisi, cambiamenti è la vera porta che si varca per sentirsi finalmente a casa, per non sentirsi più cittadini a tempo determinato, cittadini precari. Essere cittadini e cittadine pienamente riconosciuti dal paese nel quale si è nati e cresciuti è il passo che ti rende pienamente responsabile dei diritti e dei doveri che quell’appartenenza porta con sé. Essere cittadine/i o non essere cittadine/i segna il solco tra il sentirsi parte di un destino comune o spettatori frustrati ed esclusi, relegati al loggione dal quale guardare un futuro che può fare a meno di te, del tuo contributo, che ti reputa inutile, superfluo. Un non-cittadino nel paese di origine della tua famiglia e una cittadina precaria, a termine nel Paese che senti tuo. Eppure questa Italia ha bisogno di ogni singolo giovane talento che entra nelle nostre scuole, ne ha bisogno per formarlo, educarlo, crescerlo perchè possa contribuire ad un futuro che ha un bisogno impellente di giovani che possano essere futuri lavoratori e lavoratrici, medici, ingegnere e ingegneri, insegnanti, artigiane e artigiani, imprenditori e imprenditrici".

"A trent’anni dalla legge del 92, nata per nutrire un legame identitario e culturale con chi lasciò l’Italia per emigrare in Sud America o altrove nel mondo, asserendo di fatto che si è “per sempre italiani, per sempre italiane” anche con una sola goccia di sangue italiano nel proprio corpo, non si è ancora riconosciuto chi invece è “da sempre italiano, da sempre italiana”, prolungando uno spettacolo umiliante dove una parte di popolazione giovanile ormai implora, prega il proprio Stato di riconoscerla, vederla - continua Bakkali - L’immagine è proprio questa: da una parte la 91/92 che implora gli italiani di sesta/settima generazione di continuare a coltivare un legame con il Bel Paese, un'Italia che si “sbraccia” verso la costa dell’Atlantico per salutare i vari Joe di Maggio, Rocky Marciano, Tarantino, Coppola, i grandi italoamericani e dall’altra parte finge di non vedere i “suoi” Ahmed, Marwa, Ada, Deepika, Basma, Siid etc... “Guardami!” Questa riforma non dovrebbe chiamarsi “ius scholae”, ma “ius carnis” perchè quello che si deve fare è finalmente riconoscere i corpi che abitano le comunità, si riconoscano le carni di chi cammina, respira, gioca, studia, cresce, pensa, qui, tra noi. Si abbia rispetto per la pelle sulla quale quotidianamente, persino dalle nobili aule parlamentari si incidono parole di rifiuto, sguardi di sufficienza, condotte di superiorità. Non è vero che l’attuale legge basti per ottenere la cittadinanza. Chi dice che la legge oggi in vigore sia più che sufficiente dice una falsità: è una legge che porta con sé odiosi ritardi burocratici che spesso allungano sino a 4 anni i tempi di attesa. (per mia diretta esperienza). È una legge che non contempla nel progetto di vita di una famiglia momenti di difficoltà, precarietà, mobilità, povertà. È una legge che non ammette inciampi, sbavature. È una legge che prevede che si paghino 250 euro a titolo di contributo per la richiesta di cittadinanza. Il versamento è da intestare al Ministero dell’Interno e la causale è: "cittadinanza". Lo Ius Scholae è già il frutto di mediazioni politiche e il Parlamento è chiamato al suo più nobile compito ovvero leggere la contemporaneità e tracciare una via possibile per il futuro, che non può non essere inclusivo, aperto alle diversità e al coraggio. “Guardami!” stanno urlando Ahmed, Marwa, Ada, Deepika, Basma, Siid etc... “Guardateci negli occhi e diteci che anche noi siamo figlie e figlie di questa Italia!” “Sì!”".

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