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Piano clima, le proposte di Spadoni (Udc)

"La giunta regionale ha approvato le linee guida per la programmazione, la progettazione e la gestione dei progetti dei piani definiti, appunto, “Piano Clima Locale”

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di RavennaToday

La giunta regionale ha approvato le linee guida per la programmazione, la progettazione e la gestione dei progetti dei piani definiti, appunto, “Piano Clima Locale” per un importo complessivo di 100.000,00 euro cofinanziati al 50% dalla stessa regione, di cui 60.000,00 a disposizione della Provincia e 40.000,00 per Ravenna, quale comune capoluogo. Il piano secondo il testo si propone come iniziativa trasversale all’ente provinciale e consente di conoscere e armonizzare le politiche in atto che hanno riflessi sui cambiamenti climatici con l’intento di ottenere maggiore efficacia ed efficienza nelle proprie misure, identificando, al contempo, azioni e progetti da attuare all’ interno dell’ente, mirati alla riduzione delle emissioni climateranti. Oltre a questi aspetti, il citato Piano, dovrebbe avere ricadute positive dirette sulle criticità ambientali specie su quelle imputabili all’inquinamento e alla congestione del traffico urbano, con l’auspicio di produrre effetti positivi sulla gestione dei rischi connessi ai cambiamenti climatici, come i picchi di calore atmosferico, eventi meteo estremi e scarsità idrica. L’obiettivo più generale, inoltre, dovrebbe essere quello di migliorare il ruolo precipuo di coordinamento della Provincia nei confronti dei Comuni con lo scopo di pianificare le azioni ricercando la coerenza tra i vari piani locali elaborati, definendo un database delle emissioni per giungere a un vero e proprio Piano per il clima locale. E sin qui una presentazione in buona parte teorica, non priva di pomposità ed enfasi, condita da un sub strato di autoreferenzialità e rigidamente incardinata nella logica dirigistica della Regione. Bisogna, quindi, fare qualche passo e scendere nel concreto.

Preliminarmente occorre dire che si tratta di uno strumento volontario e non cogente per l’ente e per il territorio e questo rappresenta per certi aspetti un motivo di snellimento e di semplificazione, ma analizzandolo dall’altro lato della medaglia, lo strumento perde efficacia rispetto alla pletora di soggetti pubblici e privati con i quali dovrebbero interfacciarsi. In altri termini la redazione di un ricco trattato come questo denso di spunti, linee d’indirizzo, contenuti e proposte concrete con indicazioni tecniche da parte dell’ente provinciale, si sforza di perseguire l’ obiettivo di diffondere le buone pratiche e di sviluppare una pedagogia educativa e propositiva. Subito dopo, però, scattano i limiti dovuti all’indipendenza e all’autonomia economica e gestionale di ciascun ente, società, impresa privata o istituzione che, di fatto, non ha nessun tipo di vincolo o di obbligo cogente, né, tantomeno, è soggetto al rispetto delle linee indicate da tale documento provinciale, in assenza, peraltro, di regimi sanzionatori.

Inoltre, mentre si comprende la scadenza di validità del piano previsto per il 2020 come tappa indicata dall’Unione Europea ‘ 20.20.20 ‘ per una responsabilizzazione diretta dei Comuni, appare incomprensibile far partire l’analisi e i progetti di questo lavoro dal 2007, soprattutto se si pensa come da quella data ad oggi siano mutate molte condizioni economiche, sociali e ambientali. Proprio per questo, il rischio, appunto, è proprio della mancanza di omogeneità nell’ analisi dei fenomeni e nelle relative dinamiche viziati da una serie di eventi congiunturali e di andamento socio economico molto difformi tra loro.

Prima di analizzare alcune singole questioni, richiamo un aspetto davvero singolare e curioso: emerge una lacuna evidente. Vale a dire il Piano Clima in quanto tale, riserva scarsa attenzione limitandosi a generici auspici su temi di straordinaria importanza e attualità, come i cambiamenti climatici e atmosferici. Fenomeni sempre più violenti e imprevedibili che causano danni ingenti sul territorio, come le grandinate fortissime, piogge e venti di notevole intensità, burrasche con conseguenti mareggiate e ingressioni marine e cospicui danneggiamenti al settore turistico e agricolo e, più in generale al territorio. Analogamente, anche sul versante della siccità dovuta sempre ai mutamenti del clima, possiamo assistere a fenomeni inversi, vale a dire una minor quantità di precipitazioni con una conseguente domanda di acqua superiore alle normali risorse idriche da parte delle famiglie e del comparto agricolo. Su questioni così attuali e su come affrontare gli stati di allerta meteo, serviva qualche sforzo maggiore proprio per mitigare i rischi idrogeologici, i dissesti, i fenomeni d’ inondazione oltre a fornire proposte di soluzione a fronte della carenza idrica, ecc.

Ciò premesso, nello specifico dei vari temi trattati in modo articolato nell’apprezzabile lavoro dell’assessorato all’ambiente, metodologicamente si parte da una fotografia dell’esistente – con indagini, dati, statistiche, percentuali, flussi, variabili, etc. – per poi ricavarne utili indicazioni, offrire proposte di soluzione o di miglioramento, oltre a fissare obiettivi a medio e a lungo termine. Ad esempio quando si parla d’ interventi diretti della Provincia, in particolare si citano gli automezzi dell’ente: si tratta di ben poca cosa, oltretutto sorge spontaneo chiedersi perché non si sono metanizzati i veicoli sino a oggi e si fa riferimento anche alla pubblica illuminazione di competenza, quest’ultima, peraltro, limitatissima in realtà, perché quasi tutta la rete è in capo ai comuni, l’obiettivo stimato dalla giunta per ridurre le emissioni, è pari al 45% al 2020 ma si riferisce prioritariamente agli interventi diretti agli edifici dell’ente (scuole, servizi, ecc.) Opere dirette soprattutto a ridurre i. consumi, alla riqualificazione energetica, alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Al riguardo, c’è da rimarcare che artatamente si indicano solo questi interventi perché la Provincia può – di fatto – limitare i suoi lavori o pseudo investimenti quasi esclusivamente in questa direzione causa il Patto di stabilità, la mancanza di risorse e l’ assoluta incertezza della vita delle Province.

Tuttavia, l’obiettivo seppur ambizioso, resta apprezzabile e in qualche misura sempre monitorabile perché il Piano è redatto dall’ente e lo stesso pianifica gli interventi, ne impegna le risorse economiche e verifica la fattibilità. In realtà su questi obiettivi nutro maggiori speranze, poiché coinvolgono direttamente l’ente attraverso le varie fasi di sviluppo dei progetti, che sono in ogni modo restano subordinati principalmente al reperimento delle risorse, specie quelle di provenienza comunitaria: conditio sine qua non per tentare di raggiungere buona parte di quelle aspettative contenute nel Piano.

Questione completamente diversa quando, invece, sempre a titolo di esempio, si tratta di incidere sul trasporto commerciale con un 60% del parco veicolare circolante appartenente alle classi maggiormente inquinanti, quale contributo - se non quello statistico conoscitivo o di mero sprone a migliorare la situazione - può manifestare la Provincia di fatto non in grado di interfacciasi in modo organico con alcun soggetto direttamente interessato!? E su questa chiave di lettura, forse un po’ sommaria, gli esempi contenuti nel piano proposto, sono davvero una miriade, e tutti moto eloquenti.

Il parco mezzi del trasporto pubblico locale è costituito da 202 mezzi, di cui solo 52 alimentati a metano e il resto sono ancora a gasolio;

Il trasporto privato rappresenta il 73,6% e gli spostamenti casa-lavoro con auto privata sono oltre il 78,2% in larga prevalenza con una sola persona a bordo;

Il movimento in arrivo in provincia per motivi di studio e lavoro, con mezzi pubblici nel 1991 era 18,738, e nel 2001 è sceso a 12,618 con una variazione negativa di meno 32,7%, e addirittura i movimenti in partenza con auto privata assommano a oltre il 40%;

Va annotato, al riguardo, come il settore trasporti abbia un grosso peso per quanto riguarda le emissioni di PM10 con percentuali elevatissime.

La qualità dell’aria migliorata sotto l’aspetto della presenza di monossido di carbonio e biossido di zolfo, presenta altre criticità molto serie, come, ad esempio, inquinanti quali il particolato PM10 e PM2.5, ozono, e biossido di azoto. Addirittura per il PM10 nel corso del 2011 si è registrato un forte aumento delle concentrazioni, confermate per l’anno seguente 2012.

Questi sono solo pochi esempi per tornare a rimarcare la flebile autorità e la modesta influenza in capo alla Provincia su soggetti come Start romagna e agenzia AmbRA, Trenitalia, con il sistema ferroviario regionale FER, per arrivare alla pianificazione ambientale e di mobilità sostenibile di quasi esclusiva competenza della regione e dei comuni, compresa Hera per le politiche di riduzione e trattamento dei rifiuti e l’incremento della raccolta differenziata, etc. Senza dimenticare, ancora, come le azioni di promozione – seppur volontarie - riguardino anche le imprese, il mondo dell’industria sino ad arrivare alle singole famiglie.

Altre questioni di non poco conto sono le strategie per ridurre le emissioni di gas serra e la produzione locale di energia. Premessa la grossa questione dei tecnici installatori che rischiano di essere esclusi dal mercato per effetto del decreto legislativo 28/2011 con il quale viene recepita una direttiva europea, (si parla di ben 57.000 installatori), sull’argomento si cita, giustamente, la diffusione delle fonti rinnovabili a cominciare dal fotovoltaico e dell’ eolico, ma mentre il primo sta diffondendosi a piccoli passi, pur alla presenza di un programma di incentivi statali da fonte fotovoltaica non sempre certi, per il secondo serve uno sforzo di regolazione e di pianificazione più snelle, poiché le stese linee guida della Regione, stando a Legambiente, costituiscono più che altro un freno all’energia del vento. Gli esempi in provincia, infatti, si limitano a pochissimi casi. Anche per le biomasse, oltre al fine di produrre energia elettrica da fonti rinnovabili, per gli agricoltori sono una formula d’integrazione alla loro redditività, ma non deve possibilmente trasformarsi in un’ attività sostitutiva. Di qui l’esigenza di una pianificazione coerente e aderente al Piano energetico e ambientale e di quello agricolo nel pieno rispetto delle normative e, soprattutto, dei possibili pericoli di inquinamento e di contaminazione per i cittadini residenti nel tessuto urbano. Insomma, prima devono essere salvaguardati il bene e l’interesse comune, poi si pensi ai business evitando cattive pratiche ancora presenti la cui ricaduta, oltre ad interessare la salubrità dei prodotti agricoli, riguarda prima di ogni altra cosa la salute umana.

Dunque, un Piano clima molto articolato, con finalità importanti e obiettivi in larga parte indispensabili e condivisibili, ma all’interno del quale si colgono i soliti vizi dirigistici della Regione oltre ad abbandonanti pagine autoreferenziali riferite agli enti locali interessati. Oltretutto, l’elaborato in oggetto di taglio onnicomprensivo, rischia di non essere attuato se non in modesta parte proprio per la carenza di risorse a specifica destinazione, soprattutto in un momento come quello attuale caratterizzato da disponibilità finanziarie sempre meno certe o comunque inferiori rispetto alle attese e alle effettive necessità. Si corre il rischio, in altri termini, di avere redatto un apprezzabile strumento volontario composto di 180 pagine, con un approccio sistemico e strategico teoricamente valido, ricco di idee e finalità condivisibili, con progetti ambiziosi e obiettivi giusti e lungimiranti, ma che alla fine, tuttavia, possono essere di difficile o parziale realizzazione. E l’obiettivo di realizzazione pari al 20% di riduzione di diossido di carbonio entro il 2020, sempre ipotizzato dalla Provincia e dal patto dei Sindaci (sino ad ora 224 i Comuni coinvolti in Regione), se raggiunto, potrebbe essere già un apprezzabile risultato. Resta, tuttavia, il dubbio che, come già detto, tale programmazione calibrata su un arco così lungo (ben 13 anni, cioè dal 2007 al 2020), sono sempre più difficili per le incertezze governative e, come si diceva, per i trasferimenti sempre più a rischio, cui si aggiunge l’insicurezza sul futuro degli enti provinciali.

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