rotate-mobile
Politica

Province, i limiti e le opportunità del riordino

""Il prossimo 3 ottobre la Conferenza delle Autonomie Locali (CAL), in ottemperanza a quanto previsto dalla Legge 135 licenzierà una proposta di riordino delle Province che trasmetterà alla Regione"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di RavennaToday

"Il prossimo 3 ottobre la Conferenza delle Autonomie Locali (CAL), in ottemperanza a quanto previsto dalla Legge 135 licenzierà una proposta di riordino delle Province che trasmetterà alla Regione. A sua volta l’Assemblea Legislativa della Regione, entro il 24 ottobre, avrà il compito di approvare la proposta definitiva e di inviarla al Governo, chiamato successivamente a proporre al Parlamento una legge ad hoc.

Siamo alla vigilia di una decisione molto importante non solo per l’ordinamento istituzionale della Repubblica, ma per il suo assetto democratico. E’ opportuno dunque sgombrare dal campo tutte le argomentazioni strumentali, artificiose, forzate e spesso inconsistenti che hanno, in parte, segnato il dibattito estivo sul tema Province, e in particolare sul tema Romagna.

Va fatto un discorso di verità, partendo dai forti limiti della Legge di riordino. Una Legge improvvisata e incompleta che, se non corretta, rischia di produrre un grande caos istituzionale, un incremento della spesa pubblica ed un appesantimento burocratico ed amministrativo. A pochi giorni dalla formulazione della proposta che definirà la nuova geografia delle Province e che verosimilmente in Emilia-Romagna vedrà nascere la nuova Provincia di Ravenna –Forlì – Cesena e Rimini, restano aperti alcuni nodi irrisolti che aprono pesanti interrogativi sul prossimo 1 gennaio 2013, data di entrata in vigore del nuovo ordinamento.

Per iniziare resta aperta l’incognita legata alla decisione della Corte Costituzionale, chiamata il prossimo 7 novembre, ad esprimersi sulla costituzionalità di una parte della Legge. Decisione che potrebbe avere effetti stravolgenti sull’intero impianto. Il Governo non ha provveduto ad emanare il DPCM (doveva farlo entro il 5 settembre) col quale individuare inoltre le funzioni amministrative da conferire alle Province e ai Comuni,
questione dirimente per l’intero quadro.

Restano aperti i nodi relativi al personale e alle risorse (tagliate ulteriormente con lo Spending Review). Nulla si sa sul patrimonio delle ex-Province. Per non parlare del tema degli organi decentrati dello Stato, questione molto più rilevante di quella delle Province, sul versante della razionalizzazione della spesa pubblica sulla quale regna un silenzio assordante. Occorre peraltro andare oltre i limiti di questo raffazzonato provvedimento sulle Province. Occorre disegnare noi, dall’Emilia-Romagna, un percorso virtuoso di riforma del sistema.

Ma come? In che modo? Innanzitutto assumendo il tema della semplificazione dei livelli di governo come riferimento. Quattro livelli di governo sono troppi. Semplificare significa ridurli a 3 e quindi eliminare le Province. Ma eliminare le Province come livello di governo non significa negare l’esigenza della presenza di un Ente intermediario di area vasta tra la Regione ed i Comuni. Anzi.

L’individuazione delle nuove Province come enti di secondo grado deve andare in questa direzione. Le nuove Province non avranno dunque nulla a che fare con quelle attuali. Quello che conta saranno i compiti e le funzioni assegnate al nuovo Ente di II grado e il rapporto che si instaurerà tra i vari livelli istituzionali. La legge regionale sul riordino dovrà vertere sul pilastro delle Unioni dei Comuni, Comuni associati in ambiti territoriali ottimali, possibilmente coincidenti con gli attuali distretti socio-sanitari che, obbligatoriamente, saranno chiamati a gestire insieme funzioni comunali per migliorarne l’efficienza e l’efficacia.

Col nuovo assetto delle Province, inoltre, certe rigidità territoriali potranno essere superate. Penso ad esempio ai Comuni di Modigliana e Tredozio, o anche agli stessi Comuni della costa, a cominciare da Cervia e Cesenatico che potrebbero aprire un ragionamento fin qui impedito dai confini. Ritengo infine che vadano sottolineati ulteriori 2 aspetti, tutt’altro che secondari. Il primo, nasce dal timore manifestato da molti - e giustificato dalla buona prova di sé che hanno dato e danno le amministrazioni provinciali in Emilia-Romagna - che su materie importanti come l’agricoltura, la formazione, il mercato del lavoro, l’urbanistica si compia un passo indietro nel rapporto con i cittadini, le associazioni economiche e sociali e si vedano servizi e opportunità allontanate dal livello più prossimo alle comunità rispetto al quadro attuale.

La risposta a questa preoccupazione deve stare nella qualità del livello di riordino che presuppone una rivisitazione di deleghe e funzioni. Un lavoro da fare con la partecipazione non solo dei tecnici dell’amministrazione. Il secondo aspetto è più di natura culturale. Le nuove Province non sono e non potranno essere un luogo identitario. Uno dei limiti e dei pericoli indotti dal processo di riordino sta proprio qui: nell’aver innescato improprie e fuorvianti dispute sulle identità locali e sui capoluoghi.

L’identità locale, il senso di appartenenza a una città, a un territorio, elemento fondante di quel concetto di comunità aperta, accogliente ed inclusiva - da valorizzare e rilanciare - non ha nulla a che vedere con le funzioni amministrative assegnate ad un ente. Semmai questo riordino può trovare una occasione di rilancio positiva proprio perché supera il limite negativo del campanilismo. A chi dice “non voglio finire “sotto” Ravenna”, rispondo dicendo che qualcun altro potrebbe affermare “finalmente non sono più “sotto” Ravenna o qualsiasi altro capoluogo” ma sono parte di un territorio più vasto che consente a tutti di poter contare su una amministrazione pubblica e su servizi più efficienti e più vicini. Stemperiamo dunque la discussione di elementi impropri, anche sulle aree vaste.

In conclusione credo si possa affermare che siamo all’avvio di un processo e non alla sua conclusione. Un processo che va vissuto in maniera partecipata dalle comunità locali e che deve avere il giusto tempo di attuazione. Un processo, soprattutto, che vogliamo si concluda allargando gli spazi democratici e di autogoverno e non limitandoli".

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Province, i limiti e le opportunità del riordino

RavennaToday è in caricamento