8 marzo: "Festeggiamo per le donne e per la democrazia"
La nostra democrazia è una parola tutta al femminile e festeggiare la Festa della Donna oggi ha un significato particolare, a fronte della riemersione di ideologie che segregano la donna sotto il giogo di idee di genere parziale e standardizzata. Gli attacchi subiti dalla Casa delle Donne negli ultimi due anni impongono, ai cittadini democratici e antifascisti, di ribadire la visione di parità di genere e di rispetto di genere fra uomini e donne. Una parità che può essere realizzata con leggi che tutelano l'autodeterminazione delle donne sotto tutti i molteplici aspetti, quindi anche nella scelta o meno della maternità e non con "pllonate". Una parità non ancora del tutto attuata nel mondo del lavoro, (orari di lavoro, carriera lavorativa, retribuzioni più basse, divieto informale di restare incinta, violenze e ricatti sul lavoro) e nel privato delle case, (mogli e madri spesso sole nella cura della casa e dei figli). Quello della cura della famiglia è un secondo lavoro non riconosciuto adeguatamente, neppure per il calcolo pensionistico. Negli ultimi anni sono ricomparse pesantemente violenze domestiche ai danni di donne; è aumentata la prostituzione per necessità, (madri in povertà, studentesse che per pagarsi gli studi si concedono sotto la nuova immagine più pulita di escort) e si è regalata una visione standardizzata di donna principessa disneyana, esasperazione di un solo spetto della femminilità. Lo sfruttamento in genere e delle donne in particolare non è più venduto come tale, ma come libera scelta del singolo individuo: falso! Sono le condizioni socio-economiche e culturali a imporlo e normalizzarlo ed è un modello standard costruito dalle elite mondiali che hanno ancora visioni medioevali dei ruoli di genere per le masse di poveri. Infatti violenze e sfruttamento, che da noi crescono di pari passo con l'impoverimento economico e culturale del ceto medio, nel resto del mondo sono il frutto della povertà persistente. L'impoverimento di cui siamo vittime, e di cui sono vittime le donne per prime, è determinato da una parte dall'eliminazione progressiva del welfare pubblico (scuola, sanità, servizi sociali, edilizia pubblica, ecc...) e del loro effetto dumping (in una parola perdita di maternità dello Stato verso i suoi cittadini che lascia sole le donne, e non solo loro) e dall'altra da una non redistribuzione dei redditi verso i lavoratori dipendenti e verso disoccupati e stagionali. Tutte richieste del movimeto femminista “per amor dei nostri figli”, come cantavano più di un secolo fa. A fianco di ciò, l'ideologia individualista che prevede che tutto sia dovuto dalle proprie scelte e decisioni libera le coscienze individuali e anche dei politici dalle cause reali di tali povertà che sono tutte politiche, di politica economica, volutamente anti-sociali, anti-collettive, anti-comunitarie, anti-cura e di fatto misogine. Tali politiche economiche, oltre a non concepire più gli uomini e le donne come persone (ma come merci o numeri, fonti di lucro), le privano delle chance per un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Quale madre regalerebbe ciò ai suoi figli! Un imbarbarimento del modello culturale che rende scuola e cultura come poco utili ai fini di una carriera lavorativa e che ricaccia la donna a figura debole e non emancipata dal dominio di certe concezioni assolutiste e patriarcali. Si deve ricordare che, con l'accesso all'istruzione, le donne hanno guadagnato spazio in società e si sono emancipate col lavoro legato ai loro studi e che non fu una passeggiata poterli ottenere. Oggi siamo ancora in cammino per raggiungere la piena parità e non c'è nulla di scontato, anzi: si retrocede verso crudeli scenari alla Pillon. Le lotte per la conquista del suffragio universale aprirono quest'era e oggi ci ricordano che il voto è espressione e riconoscimento della propria individualità in un contesto collettivo e sociale che contempla le diversità e le differenze, non solo di genere, come ricchezza. Una continua dialettica fra diversi che fa da fondamenta alla democrazia. Questo voto universale lo hanno chiesto e ottenuto le donne portando dialettica di genere e facendo breccia nelle concezioni patriarcali, maschiliste e assolutiste, aprendo così alle diversità del molteplice e regalandoci rispetto e dignità. Inoltre la democrazia da noi vissuta fino ad oggi e che oggi viene smantellata è specchio di un altro lato femminile: quello della cura dei propri figli-cittadini; una maternità volta all'emancipazione e alla libertà del proprio figlio e non alla dipendenza o all'obbedienza al padre. Festeggiare ogni anno l'8 marzo significa ricordare le conquiste politiche, sociali ed economiche delle donne, le violenze che hanno subito nella storia e rendere viva quella democrazia dialettica che si fonda sulla diversità. Festeggiare inoltre l'8 marzo significa stare oggi al fianco delle donne di tutto il mondo nella lotta per la loro dignità e per la salvaguardia della Democrazia. Esserci l'8 marzo per noi significa esprimere infinita gratitudine a tutte le donne per ciò che hanno fatto e per ciò che fanno tutti giorni con la consapevolezza che non possiamo abbassare la guardia e che è nostro dovere di figli e figlie continuare giorno per giorno ad adoperarci per non perdere tutto ciò che hanno contribuito a darci nella storia: la democrazia. La nostra democrazia è tutta al femminile!
La Consulta provinciale antifascista di Ravenna