Il Carnevale visto con gli occhi di un disabile: "Lasciate che i vostri figli mi lancino i coriandoli"
Domenica ho partecipato in qualità di spettatore alla annuale sfilata di Carnevale dei Ragazzi, come ho fatto alcune altre volte in passato. Quest’anno in particolare sono stato contagiato dall’atmosfera festante che accomunava in un’unica, grande, indistinta fiumana umana grandi e piccini. Ho notato come anche nei costumi più comunemente indossati da bimbi e bimbe sia possibile denotare il momento storico sociale e culturale che stiamo vivendo. Mi spiego meglio: ai miei tempi, negli anni ’70, i maschietti erano perlopiù mascherati da Zorro, cowboy o pirata, mentre le bimbe erano, in genere, fatine o principesse e qualche Biancaneve. Domenica, invece, i costumi erano per la maggior parte più complessi e articolati: supereroi Marvel per i bimbi, unicorni e altre creature mitologiche. Quello che non è cambiato è la spontaneità, l’innocenza, il candore con cui i più piccoli si rapportano alla mia condizione di disabilità: senza eccesso di protezionismo e reverenza nei miei riguardi mi hanno letteralmente sepolto di coriandoli, andando talvolta incontro alle sgridate da parte degli adulti che erano con loro che insorgevano con frasi come "No, non sta bene", o "Dai, cosa fai? A lui no", non rendendosi conto che per me i loro rimbrotti risultavano molto più sgraditi e offensivi rispetto alla pioggia di coriandoli. Io vado in spiaggia a Ferragosto sperando di ricevere un gavettone, sono cose che mi fanno sentire un uomo senza problemi e non, come succede spesso, un qualcosa di fragile e delicato da conservare sotto una campana di vetro.
Claudio Poverini