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Cronaca

Il ravennate che dà vita ai giochi da tavolo: "Un divertimento sano che ti porta in mondi fantastici"

Il game designer ed educatore ludico: "Durante il Covid il gioco da tavolo ha salvato molte famiglie che hanno riscoperto questo modo di stare insieme"

Un divertimento sano, una palestra per la mente, un fantastico modo per stare assieme e socializzare: tutto questo è il mondo dei giochi da tavolo. Un universo troppo spesso considerato solo per bambini e ragazzi, ma che in realtà affascina anche gli adulti e, in molti casi, li aiuta a stare meglio. A raccontarci tutti questi aspetti è Gabriele Mari, game designer che collabora con varie case di produzione ed educatore ludico per la Cooperativa Sociale La Pieve. Nato nel 1973 a Ravenna, negli anni ha dato vita a vari giochi da tavolo: Letters from Whitechapel, Whitehall Mystery, Garibaldi: The Escape, Hunt for the Ring, Dante Alighieri Comedia Purgatorio e molti altri.

Nel corso della sua carriera ha dato vita a tanti giochi. Cosa la affascina di più di questo mondo?
Il gioco è sempre stata la mia passione fin da quando ero bambino. Il fascino sta nell'immergersi in mondi fantastici, come può essere la lettura di un libro o la visione di un film, ma il gioco ti dà una marcia in più, perché sei attivo all'interno di questa fantasia. C'è partecipazione attiva e in più non sei da solo: il lato sociale del gioco è sempre stato uno degli aspetti che mi ha esaltato di più. La creatività è ai massimi livelli. Non solo per essere un giocatore, ma per fare il salto e crearli, inventare mondi in cui muoversi. La creatività è ancora la molla principale, e il bello è vedere le persone che giocano all'interno del mondo che hai creato. 

Da cosa parte per lo sviluppo di un gioco da tavolo?
Ci sono due scuole di pensiero, chi parte dalle meccaniche e chi dalle ambientazioni. Io sono della seconda schiera, parto sempre dalle storie che voglio raccontare e dalle emozioni che voglio far vivere alle persone. Si progetta un'esperienza. Per "Whitechapel", da grande appassionato di fumetti e di Alan Moore, ho preso il suo "From Hell" e ho pensato 'quanto sarebbe bello interpretare i personaggi che si muovono in questo mondo?' Occorre cercare di capire come il gruppo di giocatori si interfaccia con questo mondo, con la possibilità di agire all'interno e osservare la dinamica di gruppo che si sviluppa.

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Oltre alla creazione, lei promuove anche il gioco strutturato come pratica educativa. Dal mondo della scuola alle persone disabili, fino al coinvolgimento di anziani e i corsi all'interno del carcere. Qual è il metodo che propone in questi contesti?
E' stata un'evoluzione naturale. Facendo l'educatore e trovandomi a contatto ogni giorno soprattutto con ragazzi con disabilità e con autismo, la mia passione è stata quella di portare anche a loro questo genere di divertimento. Volevo capire quali fossero le soglie di accessibilità di questo intrattenimento per persone con handicap. Lo scopo è stato quello di adattare giochi commerciali, con cui magari i loro coetanei giocano normalmente, per rendere anche loro partecipi. Da lì, questo approccio si è dimostrato fecondo per qualsiasi contesto educativo. Siamo andati quindi nelle scuole, e poi in carcere, dove un intrattenimento letteralmente di evasione può essere utile per far passare del tempo di qualità a persone che stanno in prigione. Poi siamo arrivati agli anziani, tramite le collaborazioni con Ravenna Parkinson e il progetto Alice. Oltre a essere divertenti i giochi da tavolo fanno bene, mettono in moto il cervello, sono una vera palestra per la mente e tengono allenate tutte le capacità cognitive e relazionali. L'intento è portare i giochi in tutti i contesti educativi, perché ne vedi gli effetti benefici.

Il mondo dei giochi da tavola e di società è stato spesso, ingiustamente, considerato come momento di svago solo per i più giovani. E' solo svago o c'è di più?
E' prima di tutto una forma di intrattenimento e divertimento. Un divertimento sano che fa lavorare la mente, ed è sociale perché giochi con altre persone. Soprattutto i ragazzi sono sempre meno abituati all'aggregazione fisica che ti propone il gioco da tavola. Vediamo sempre più spesso ragazzini con dipendenza da schermo, dove si perde un minimo di contatto umano, che invece il gioco da tavolo implementa alla grande. Lo abbiamo visto durante il Covid, quando eravamo tutti a casa: il gioco da tavolo ha salvato molte famiglie che hanno riscoperto questo modo di stare insieme, tirando fuori dall'armadio scatole di giochi con cui forse non avevano mai giocato, e hanno capito quanto fosse importante. Quando siamo tornati a incontrarci dopo la pandemia, c'era una gran voglia di stare insieme, e il gioco è una delle scuse più potenti per stare assieme. Dal post Covid molte istituzioni, a partire dalle biblioteche, hanno capito il valore di queste esperienze. Una scusa per facilitare comunicazione e aggregazione sociale con mezzi potentissimi e a un costo contenuto.

Nel suo 'Dante Alighieri Comedia Purgatorio' la progettazione del gioco ha coinvolto anche sanitari e volontari nel settore dell’assistenza ai malati di Parkinson. Può raccontarci lo sviluppo del gioco?
Tutto è nato proprio da uno stimolo dell'associazione Ravenna Parkinson, con cui avevamo avuto sessioni gioco online proprio durante il Covid. Hanno proposto di fare un gioco che potesse veicolare anche messaggi di consapevolezza sulla sindrome. Il gioco stesso, essendo divertente per chiunque, ti veicola dei messaggi e delle comunicazioni sociali. Per questo si è fatto un gioco che come ambientazione non c'entra nulla con il Parkinson, perché parla di Dante Alighieri e del Purgatorio, ma c'entra a livello di strutturazione, perché è stato studiato pensando all'utilizzo da parte di persone con Parkinson. Quindi non si tengono le carte in mano, ma si mettono sulla tavola. Di solito adattiamo un gioco alle esigenze delle persone, qui abbiamo fatto il contrario, abbiamo cercato di dimostrare che partendo da un obiettivo educativo, già nel game design, si può strutturare il gioco affinché sia accessibile a quel target, senza rinunciare al divertimento e alla complessità del gioco. L'accessibilità è quello: dar la possibilità a tutti di partecipare al gioco, ma senza 'ghettizzarlo' ed etichettarlo come un gioco-Parkinson.

Qual è il suo gioco preferito? 
Ce ne sarebbero tanti. La partenza di molte mie creazioni sono giochi da ragazzino. Negli anni '80 con Scotland Yard ho passato dei bellissimi momenti e lo si è visto poi nella mia produzione, di giochi di fuga ne ho fatti tanti. Ma c'è anche Cluedo, un classico che conoscono tutti, dove l'investigazione e il mistero mi sono sempre rimasti nel cuore.

E ora quali nuove uscite sono in programma?
Abbiamo da poco lanciato "Penny Dreadfuls" (Giochi Uniti), un gioco narrativo nella Londra vittoriana: una sorta di librogame, ma giocato in gruppo e su un tabellone. Un gioco che ha bisogno di storie sempre nuove e quindi stiamo lavorando alle nuove espansioni. Siamo in uscita con la riedizione di "Raccontami una storia": un gioco di creatività narrativa che si basa sulle funzioni della fiaba di Propp, e che attraverso delle carte ti dà la possibilità di creare delle storie. Poi uscirà prossimamente "La Corsa dei colori" (centro studi Erickson), un gioco educativo che seguirà il gioco 'A caccia di conchiglie', con cui stiamo riuscendo a portare sui tavoli, in forma di gioco, concezioni che portiamo avanti nei corsi per educatori ludici.

Gabriele Mari

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