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"Fanghi abusivi nelle casse di colmata, scandalo miliardario": Ancisi diffida de Pascale

L’indagine giudiziaria ha accertato che nelle casse di colmata risulterebbero depositati milioni di metri cubi di fanghi di dragaggio le cui autorizzazioni all’immissione sono decadute da 7 a 14 anni

Sulle casse di colmata in cui sono rimasti depositati abusivamente per lungo tempo milioni di metri cubi di fanghi portuali considerati rifiuti si è avuta, in esito a un’indagine giudiziaria avviata nel 2015 e terminata pochi giorni fa, una prima sentenza del Tribunale di Ravenna, che ha imposto ai condannati di rimuovere i fanghi e di bonificare i siti.

"La magistratura farà giustizia su questo scandalo, dovuto alla totale mancanza dei controlli sul rispetto delle autorizzazioni concesse per lo sversamento dei fanghi nelle casse, rimasti lì indisturbati anni e anni oltre il tempo fissato. C’è stato però un altro scandalo grave, scoperto da Lista per Ravenna - commenta il capogruppo della lista consiliare Alvaro Ancisi - Verso fine 2015 Gianfranco Spadoni, oggi vicepresidente di Lista per Ravenna e allora consigliere elettivo della Provincia, chiese al suo ente copia di tutti gli atti autorizzativi rilasciati per scaricare i fanghi nelle casse. Ne arrivarono 27, per un volume totale di 5 milioni e 57mila metri cubi. Calcolando indicativamente che il peso dei fanghi per metro cubo abbia un valore medio di 1,85 tonnellate, risulterebbero oltre 9 milioni di tonnellate. La Provincia, in pegno delle prescrizioni contenute nelle varie autorizzazioni, avrebbe dovuto richiedere per legge delle garanzie fideiussorie. Trattandosi di rifiuti speciali non pericolosi, l’ammontare di tali fideiussioni era pari a 140 euro per tonnellata. Spadoni chiese così alla Provincia l’elenco delle fideiussioni. La risposta sconcertante, venuta dal direttore dell’Agenzia ambientale dell’Emilia-Romagna Arpae nell’aprile 2016, fu che “in merito ad autorizzazioni rilasciate per conferimenti di fanghi per deposito temporaneo in casse di colmata portuali, non risultano agli atti garanzie finanziarie depositate a favore della Provincia”. A quanto è dato di capire, il totale delle fideiussioni non richieste avrebbe dunque assicurato la copertura degli obblighi posti dalle 27 autorizzazioni a carico dei richiedenti per una somma enorme, molto superiore a un miliardo di euro, tale (come prescrive testualmente la normativa regionale) da coprire i seguenti costi: “…recupero degli eventuali rifiuti rimasti all’interno dell’impianto; bonifica che si rendesse necessaria dell’area e delle installazioni fisse e mobili, ivi compreso lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalle operazioni suddette, nel periodo di validità della garanzia finanziaria”. Di qui i danni economici subiti dalla Provincia".

L’indagine giudiziaria ha accertato che nelle casse di colmata risulterebbero depositati milioni di metri cubi di fanghi di dragaggio le cui autorizzazioni all’immissione, scadenti tra il 2005 e il 2012 e condizionate al trasferimento definitivo dei rifiuti in altro luogo per operazioni di recupero ambientale, sono dunque decadute da 7 a 14 anni. "Le casse di colmata, montagne alte 6-7 metri, sono dunque diventate discariche di rifiuti non autorizzate - prosegue il consigliere d'opposizione - Può sussistere un danno igienico/ambientale, con effetto anche sul paesaggio. La lunga permanenza dei rifiuti può aver prodotto inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali e delle acque sotterranee tali da imporre, ai sensi del Codice ambientale, la bonifica dei siti contaminati. È quanto, in definitiva, ha disposto il Tribunale di Ravenna a carico degli imputati condannati, essendo però molto improbabile che ciò avvenga tempestivamente. Si è letto che “il costo per lo svuotamento totale di queste casse sarebbe attorno ai 40 milioni di euro se non di più”, bonifica costosissima esclusa. Sta di fatto che le fideiussioni non richieste, se invece acquisite, avrebbero permesso di gran lunga alla Provincia, una volta doverosamente escusse, di compiere tali operazioni già da anni, anziché attenderne chissà quanti altri. La mancata disponibilità delle casse ha bloccato, a tempo indeterminato, l’adeguamento dei fondali del porto al pescaggio necessario non solo per il suo minimo indispensabile sviluppo, ma addirittura per impedirne l’arretramento funzionale e competitivo che si è avuto. Se ne ha dunque la misura del danno enorme prodotto, oltreché all’ambiente e alla salute ambientale, all’economia del territorio, e dunque alla cittadinanza. Al di là degli aspetti penali sui quali potrebbero essere scattati i termini della prescrizione, resta perciò doverosa, da parte della Provincia, l’effettuazione di un’indagine amministrativa".

Di qui la diffida a compiere tale indagine rivolta al presidente della Provincia Michele de Pascale da Ancisi: "Ciò affinché, stabilita la veridicità dei fatti esposti, se ne accertino le cause e le responsabilità, si proceda nei confronti dei responsabili secondo legge, previa loro messa in mora per interrompere i termini di scadenza degli addebiti, e si sollevi presso il Tribunale civile una causa per il recupero dei danni, valutando anche di sottoporre gli esiti dell’indagine all’esame della Procura regionale della Corte di Conti, competente in materia".

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