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Domenica, 28 Aprile 2024
Economia

Oltre 400 imprese ravennati e ferraresi potrebbero esportare (ma non lo fanno)

Tra le incertezze delle aziende ferraresi e ravennati nell’affrontare l’internazionalizzazione, al primo posto figura l’individuazione di partner locali adeguati, poi la complessità delle normative e gli ostacoli di natura linguistica e culturale

“Le imprese ferraresi e ravennati manifatturiere che avrebbero le carte in regola per esportare i propri prodotti all’estero, ma non lo fanno o lo fanno saltuariamente, sono oltre 400. Portare sui mercati esteri queste imprese avrebbe un impatto sull’incremento dell’export manifatturiero di circa il 7%”. Così interviene Giorgio Guberti, presidente della Camera di commercio di Ferrara e Ravenna.

Come mostrano le stime di Unioncamere e del Centro Studi dell’Ente di viale Farini, le imprese esportatrici negli ultimi sono diminuite, con una contrazione di oltre il 3%. A ridursi, in realtà, è soprattutto il numero delle piccole imprese, mentre sono aumentate le medio-grandi aziende. Inoltre, le piccole imprese esportatrici (fino a 49 addetti) hanno anche una minore intensità di export rispetto alle esportatrici di più grande dimensione (50 addetti e oltre), con un gap del 35% in termini di valore di export per addetto: circa 82 mila euro contro 122 mila euro.

“Il sistema Italia – ha concluso Guberti - deve però attrezzarsi concretamente per mettere in atto una strategia integrata di tutti i soggetti coinvolti nelle politiche di supporto alle imprese per l’internazionalizzazione. Non è possibile, ad esempio, che quelle imprese che stanno tirando la volata sui mercati internazionali sopportino un peso delle imposte sui profitti lordi pari al 48%, contro il 26% di quelle tedesche e spagnole”.

Le principali criticità evidenziate dalle imprese nell’indagine della Camera di commercio

Tra le incertezze delle aziende ferraresi e ravennati nell’affrontare l’internazionalizzazione, al primo posto figura l’individuazione di partner locali adeguati, poi la complessità delle normative e gli ostacoli di natura linguistica e culturale. Il punto di partenza – sottolinea la Camera di commercio - è rappresentato dal fatto che il 95% delle imprese che si è già aperta ai mercati internazionali lo ritiene fattore indispensabile per assicurare la crescita dell'azienda, e se due terzi di queste è riuscita a compiere il processo in meno di 12 mesi, per chi non lo ha ancora fatto esiste una percezione più dilatata e più della metà ritengono che ci vorrà oltre un anno di tempo.

Questo riflette l'ansia di dotarsi, soprattutto per le piccole e medie imprese, del "know how" interno per affrontare i nuovi mercati. E infatti il 62% pensa che dovranno ricorrere alle competenze specializzate di consulenti esterni, mentre solo il 38% di queste ritiene di avere in casa le conoscenze necessarie. Tra le aziende già internazionalizzate, invece, il 90% ad oggi segue il processo con personale interno e solo il 23% con esterni.

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