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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Città tappezzata di manifesti contro l'aborto, pioggia di critiche: "Offensivi e violenti, vanno rimossi"

Stanno facendo molto discutere, com'era prevedibile, i manifesti e i camion vela ritraenti un feto apparsi in alcune zone di Ravenna e provincia che pubblicizzano la campagna di sensibilizzazione promossa dalla onlus "Pro Vita"

Stanno facendo molto discutere, com'era prevedibile, i manifesti e i camion vela ritraenti un feto apparsi in alcune zone di Ravenna e provincia che pubblicizzano la campagna di sensibilizzazione promossa dalla onlus "Pro Vita" e sostenuta dalle associazioni "Pro Life" ravennati, tra le quali San Michele Arcangelo, i Movimenti per la Vita di Ravenna e di Lugo, il Centro di Aiuto alla Vita di Ravenna e il Comitato “Difendiamo i nostri figli” di Ravenna, in occasione del 40esimo anniversario della legge 194 sull'aborto. Fino al 26 maggio, infatti, un camion vela che mostra un messaggio anti-abortista circolerà per le strade di Ravenna, Cervia, Milano Marittima, Alfonsine, Russi e Lugo.

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Le critiche

La campagna pro vita ha già ricevuto diverse critiche: in primis da parte del gruppo politico di maggioranza in consiglio Articolo 1 Movimento democratico progressista di Ravenna, che chiede all'amministrazione comunale di rimuovere questi manifesti che "ledono la dignità delle donne. Ribadiamo il diritto irrinunciabile all'autodeterminazione delle donne in ogni momento della propria vita, a maggior ragione in un momento difficile come quello della decisione di interrompere una gravidanza. La legge 194 ha fatto diminuire gli aborti e ha abbattuto drasticamente le morti per aborti clandestini. In Italia, dove 7 medici su 10 sono obiettori, si dovrebbe combattere per una piena applicazione della 194 sia nella sua parte di garanzia di interruzione della gravidanza che nella parte di prevenzione e tutela della maternità".

Per il segretario provinciale del Pd di Ravenna, Alessandro Barattoni, e per Mirella Dalfiume del coordinamento Donne Democratiche la campagna pro vita è "offensiva, sconsiderata e inaccettabile. La legge fu fortemente voluta dalle donne di gran parte del movimento femminista, dell'Udi, dei partiti di sinistra, dei sindacati e delle associazioni e tante altre seppero mettersi insieme, dopo mediazioni non facili, e vinsero. Le strutture sanitarie pubbliche dovevano garantire gratuitamente l’interruzione volontaria di gravidanza e i consultori dovevano assicurarne la prevenzione attraverso una efficace educazione sessuale e sanitaria. La legge recepì queste istanze, ma consentì l’obiezione di coscienza anche se circoscritta al solo personale, la struttura era tenuta in ogni modo ad assicurare gli interventi. Attualmente il tasso di abortività del nostro Paese è fra i più bassi tra quelli dei paesi occidentali. Se si va a rileggere il testo della 194, si scopre che il vero problema della legge, a quarant’anni dalla sua introduzione, è soprattutto la sua mancata applicazione. Nel 2016 il Consiglio d’Europa, su ricorso della Cgil, ha richiamato l’Italia sia per le difficoltà di applicazione della legge sia per la "discriminazione" nei confronti del personale sanitario non obiettore. L’anno dopo ha fatto lo stesso il comitato dei diritti umani dell’Onu, sottolineando come questi ostacoli portino a un aumento degli aborti clandestini. L’accesso a pratiche di interruzione volontaria di gravidanza meno invasive, come la pillola del giorno dopo, l’assistenza sanitaria in tutte le strutture sanitarie pubbliche o accreditate, per non scaricare le scelte degli obiettori sulle donne e sui medici non obiettori, il rilancio dei consultori familiari, l’accesso a metodi contraccettivi semplici, senza effetti collaterali, meno costosi e reversibili, l’educazione alle relazioni e alla sessualità nelle scuole  sono elementi fondamentali per ridurre il numero di gravidanze indesiderate e il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza. Solo così potremo esercitare il diritto alla procreazione responsabile".

Per l'assessore e politiche e culture di genere Ouidad Bakkali quella che sta tappezzando i muri della città è una campagna violenta e liberticida", mentre per Sinistra Italiana, che a sua volte chiede al Comune la rimozione dei manifesti, si tratta di una "comunicazione violenta, specie nei confronti di una donna che sta vivendo un momento così critico, in un paese poi che fa dell'interruzione di gravidanza un percorso a ostacoli per le donne. Un mondo alla rovescia: dopo quarant’anni stiamo ancora a discutere del diritto delle donne di scegliere e del diritto alla salute, anzichè garantire il rispetto pieno della legge anche attraverso l'assunzione di quote garantite di medici non obiettori". Secondo la Casa delle Donne di Ravenna si tratta di immagini che "mirano a colpevolizzare le donne che hanno subito, o scelto, la fine di una gravidanza per i motivi più diversi. Colpire le donne che vivono un momento così difficile e doloroso della loro vita è subdolo e ipocrita. L’obiettivo di questa campagna di comunicazione oscurantista e violenta non è affatto la difesa della vita, ma la criminalizzazione delle donne per sottrarre loro potere e controllo sulla riproduzione e trasformarle in strumento procreativo. Siamo e saremo sempre libere di scegliere, perchè le nostre vite e i nostri corpi valgono".

I favorevoli

Sul fronte contrario si schierano Stefano Gardini e Mirko De Carli, rispettivamente presidente e coordinatore nazionale nord Italia del Popolo Della Famiglia di Ravenna, che sostengono la campagna "in difesa del più piccolo tra i piccoli, del più indifeso tra gli indifesi, un bambino nel grembo della mamma. Si tratta di una campagna di sensibilizzazione importante perché finalmente, dopo 40 anni, si comprenda quale abominio è stato perpetrato con la legge 194 del '78 e soprattutto quale sia il vero tema: la vita di un bambino". Per Gardini la legge che garantisce le "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza" va abrogata: ".Nessun diritto presunto può travalicare i limiti della vita, se non in una società al disfacimento".

Sul tema si è espressa anche Veronica Verlicchi, capogruppo della lista di opposizione La Pigna in consiglio comunale: "Premesso che questa campagna non mi piace, trovo ingiusta l’ipotesi di rimozione dei manifesti - spiega la consigliera - E qualora questa avvenga per mano del comune, trovo si tratti di un atto antidemocratico. La libertà di espressione appartiene a entrambe le parti: chi è a favore e chi è contro".

Qual è il 'percorso' che ha portato alla normativa?

Nel 1971 la Corte Costituzionale dichiara illegittimo l'articolo 553 del Codice penale che prevedeva come reato la propaganda degli anticoncezionali. Sempre nel '71, il 7 giugno, viene presentato il primo progetto di legge dai senatori socialisti Banfi, Caleffi, Fenoaltea; a ottobre viene presentato alla Camera, sempre a firma socialista, un altro progetto. Le due proposte non vennero discusse. Tre anni dopo, l'11 febbraio del 1974, in coincidenza con i Patti lateranensi, Loris Fortuna presenta un nuovo progetto su cui convergono l'appoggio del Partito radicale e del Mld (Movimento liberazione della donna). Il 18 febbraio del 1975 la Corte Costituzionale, a seguito di un ricorso presentato dal giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, dichiara parzialmente illegittimo l'articolo 546 del Codice penale: veniva riconosciuta la legittimità dell'aborto terapeutico. Dietro queste spinte, il 29 aprile del 1975 il Parlamento approva la legge 405 per l'istituzione dei consultori familiari, che hanno tra gli scopi la divulgazione dei mezzi contraccettivi.

Tra febbraio e aprile '75 vengono presentate sei proposte di legge sulla materia; una è quella socialista già presentata. Il 14 febbraio il Pci presenta una proposta che prevede tassativamente i casi in cui è ammessa l'interruzione di gravidanza sino al novantesimo giorno - pericolo di vita, serio pregiudizio per la salute fisica o psichica, possibili malformazioni del nascituro, violenza carnale, incesto - La decisione non spetta alla donna, ma a una Commissione composta da due medici e un assistente sociale nominata dal Consiglio di amministrazione degli ospedali. La terza proposta è dei Liberali che, il 3 aprile del '75, chiedono la parziale legalizzazione. L'aborto deve essere motivato da ragioni di necessità grave e obiettiva. Nella proposta repubblicana l'Ivg è consentita per grave pericolo di vita e grave danno per la salute della madre, se è conseguenza di violenza o incesto e se la gravidanza non ha superato le 12 settimane. Le altre due proposte sono del Psdi e della Dc. In quest'ultima l'aborto resta un reato e prevede solo in determinate circostanze la possibilità di concedere alla donna un'attenuante. Per stimolare e affrettare il Parlamento, il Partito radicale e il Mld, con l'appoggio di Avanguardia operaia, Lotta continua, Pdup e Uil, prendono l'iniziativa di raccogliere le firme per un referendum abrogativo delle norme del Codice penale che vietano l'aborto. L'8 novembre 1975 la Cassazione dichiara valido il numero di firme per il referendum. Se non subentra una nuova legge, le votazioni dovranno tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno 1976. Inizia la discussione sul testo di legge unificato.

Lo scioglimento anticipato delle Camere, decretato dal Presidente della Repubblica Leone, fa slittare automaticamente di 2 anni il referendum che potrà svolgersi solo nella primavera del 1978. Alla riapertura del Parlamento la discussione sulla legge ricomincia da capo. Il testo approvato dalla Camera viene bocciato in commissione al Senato. I partiti laici lo ripresentano immediatamente. Dopo varie polemiche e spaccature, soprattutto sul problema dell'obiezione di coscienza dei medici, il 22 maggio 1978 la 194 è legge, ma non è ancora finita. A maggio del 1981 viene sottoposta a voto referendario, dal quale esce indenne. Gli italiani furono chiamati a pronunciarsi su due quesiti di segno opposto: da un lato il quesito dei Radicali per l'abrogazione di alcune norme della legge 194 sull'aborto per rendere più libero il ricorso all'interruzione di gravidanza, dall'altro quello del Movimento per la vita che prevedeve l'Abrogazione di alcune norme della legge per restringere i casi di liceità dell'aborto. Si recò alle urne il 79,6% degli aventi diritto al voto. Il 'No' ricevette l'88,5% dei consensi in merito alla proposta radicale e il 67,9 % in merito a quella del Mpv.

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