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Suono ma nessuno apre

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A cura di Matteo Fabbri

"Zio, chi è quello?": Prince e l'assolo più emozionante del rock spiegati a un ragazzino

Alla domanda “Cosa si prova ad essere il miglior chitarrista del mondo?”, Eric Clapton ha sempre risposto: “Non lo so, dovreste chiederlo a Prince”

La settimana scorsa, mentre stavo sistemando dei vecchi CD, mio nipote mi ha chiesto “chi è quello?”, indicando una copertina che ritraeva la figura di una popstar maschile completamente nuda all'interno di un gigantesco fiore, come in una sorta di “Nascita di Venere” del Botticelli ai limiti del trash. Sono rimasto un attimo pietrificato e nei giorni successivi mi sono chiesto a mia volta come si può raccontare Prince, a cinque anni dalla sua morte, a un ragazzino che lo vede per la prima volta o a una persona che non lo conosce molto bene. Di cose da dire e ascoltare, anche controverse, ce ne sarebbero in quantità industriale. Ma alla fine mi sono risposto che se proprio uno mi dovesse chiedere qualcosa sul folletto di Minneapolis, la prima cosa a venirmi in mente sarebbe quella sera del 15 marzo 2004.

Dunque, Prince nasce musicalmente a fine anni '70 e per tutta la carriera porta avanti un progetto con una forte identità che riesce a sfociare in tante sfere diverse: dal funky al rap al rock, sempre con la sensualità come fil rouge della sua proposta. I suoi anni d'oro, lo sappiamo, sono stati tutto il decennio '80 e i primi '90. Però ecco, la prima immagine che mi viene in mente quando penso a Prince è legata a molti anni dopo, nel 2004 appunto, quando ormai il suo nome e il suo marchio si stavano pian piano affievolendo, complice l'avvento della musica digitale, del download illegale selvaggio e del suo essere restìo a concedere il proprio catalogo musicale su internet (ricordiamo che fino a pochi anni fa su YouTube non c'erano i suoi videoclip ufficiali e su piattaforme come Spotify sembrava che lui proprio non esistesse).

Ad ogni modo, sarebbe ingeneroso avere la pretesa di raccontare la carriera di Prince qui in poche righe, per cui torniamo a quel famoso 15 marzo 2004, precisamente al “Waldorf Astoria Hotel” di New York dove si stava svolgendo l'annuale cerimonia della “Rock and Roll Hall Of Fame”. In quell'occasione, tra i tanti, vennero premiati personaggi giganteschi come Jackson Browne, gli ZZ Top, i Traffic, lo stesso Prince e il compianto ex Beatle George Harrison, scomparso appena tre anni prima per via di un tumore. Per onorare quest'ultimo, a un certo punto della serata sale sul palco un autentico squadrone di campioni del rock: l'enorme Tom Petty, poi Jeff Lynne, Steve Winwood, Steve Ferrone, e ancora il figlio di George Harrison, fisicamente tale e quale al padre, e infine lo stesso Prince.

Questa superband si cimenta nel classicone “While My Guitar Gently Weeps”, scritta da Harrison per i Beatles. Ecco, se cercate questa performance su YouTube, cosa che vi invito caldamente a fare, per i primi tre minuti assisterete a un buonissimo omaggio, fedele all'originale, ma abbastanza didascalico, senza grossi guizzi. Sul palco sembrano tutti seri, solenni, compassati e dimessi. In quei tre minuti, se ci fate caso, Prince nemmeno si nota, è praticamente invisibile. Nonostante fosse una primadonna, abituato a essere la star al centro dell'attenzione, e nonostante quella sera sul palco indossasse un vistoso completo e un altrettanto appariscente cappello rosso, rimane a lato, addirittura nemmeno illuminato dai riflettori, in ombra, in disparte, si limita a strimpellare la sua chitarra in maniera svogliata. Sembra quasi sentirsi di troppo. Sembra, appunto. E’ come una pistola carica pronta a sparare. E infatti, dopo tre minuti e mezzo, vedi il figlio di George Harrison che cerca di celare il sorriso di chi ha già una vaga idea di ciò che sta per accadere. Ed ecco infatti all’improvviso Prince spuntare dal lato destro del palco e incendiare la serata con un assolone di chitarra elettrica incandescente durante il quale mette in mostra tutto il suo arsenale di tecniche chitarristiche. Per tre minuti si scatenerà come se stesse violentando il proprio strumento, avventurandosi in uno degli assoli più veri e sanguigni mai sentiti prima. Pura eccitazione. Un’autentica tempesta. Da quel momento in poi, lo spettacolo è tutto suo. E’ come una bomba atomica, si esibisce a un livello completamente diverso dagli altri, mettendo il suo marchio indelebile su una canzone che, altrimenti, sarebbe stata una semplice fotocopia dell’originale.

Mi rendo conto quanto sia difficile trasmettere a parole l'emozione di un assolo di chitarra. A maggior ragione da parte mia che non sono nemmeno un chitarrista. Ma non credo ci sia bisogno di esserlo per apprezzare la gioia abbagliante che si irradia mentre suona. Prima che al pubblico, la potenza e la magia di quell'assolo torrenziale si propaga già sul palco. I musicisti attorno a Prince infatti sono increduli, sbalorditi, in particolare il figlio di Harrison ha il volto letteralmente estasiato e un sorriso raggiante. Anche loro si stavano godendo lo spettacolo e sembra che anche loro, come noi, desiderassero che di suonare la chitarra in quel modo esaltante Prince non smettesse più. Il tutto condito da due magnifici “colpi di teatro”: il primo, quando nel bel mezzo dell’assolo volta le spalle al pubblico e si lascia cadere giù di schiena su una guardia del corpo che lo sorregge. Il secondo alla fine, quando si strappa la chitarra di dosso, la lancia in aria... e questa non scende più. Come se l'avesse afferrata lo stesso George Harrison dal cielo, come a volerlo ringraziare e a dirgli “meglio di così potevi fare”.

Il principe quindi quella sera ha rubato la scena con un assolo infernale che è diventato il momento clou forse anche della sua carriera, evidenziando ulteriormente la sua versatilità. E pensare che quell’esibizione è nata quasi per caso, improvvisata poche ore prima dell'evento, quando Tom Petty, sapendo della presenza di Prince, gli ha chiesto di unirsi alla superband. In pratica Prince non ha nemmeno provato prima. Non ce n'era il tempo, ma ha assicurato l'organizzazione che non c'era da preoccuparsi e che tutto sarebbe andato per il meglio. A dimostrare la sua grande confidenza in sé stesso, e un pizzico di arroganza.

E insomma, è un peccato che anche Prince, come molti suoi contemporanei, risenta oggi del pregiudizio per cui se fai musica plasticosa e hai un'immagine forte e sgargiante, allora le tue doti strumentali vengono messe in secondo piano. Prince sapeva suonare di tutto, con tutto. Praticamente ogni stile musicale con ogni strumento, ogni accordo, ogni scala. Sapeva fare cose che nessun altro poteva fare. Era un genio. Ma sembra che ancora oggi molti non si rendano conto di che straordinario musicista fosse. Come chitarrista rock poteva competere tranquillamente con chiunque. Del resto, alla domanda “Cosa si prova ad essere il miglior chitarrista del mondo?”, Eric Clapton ha sempre risposto: “Non lo so, dovreste chiederlo a Prince”.

A questo link è possibile ascoltare la puntata del podcast

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