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Lunedì, 29 Aprile 2024
Romagna terra di grandi personaggi

Romagna terra di grandi personaggi

A cura di Lorenzo Matteucci

Don Giovanni Minzoni, il prete che si oppose alla violenza fascista

Le sue attività nel territorio e le sue critiche alla violenza del regime gli attirarono presto le antipatie dei fascisti, che lo aggredirono la sera del 23 agosto 1923 causandone la morte

Quest’anno ricorre l’anniversario della scomparsa di un personaggio fondamentale della storia romagnola del Novecento. Il 23 agosto del 1923, infatti, veniva a mancare Don Giovanni Minzoni, brutalmente ucciso da alcuni squadristi fascisti. 

Giovanni Minzoni nacque a Ravenna nel 1885 e fin da giovane intraprese la strada della vita religiosa, diventando sacerdote nel 1909 presso Argenta. Fin da subito fu molto attivo, pensando soprattutto ai giovani, per i quali si spese nella realizzazione di una biblioteca e di un teatro parrocchiale e attivando un doposcuola e un ricreatorio: insomma, Don Minzoni sapeva bene che la sua parrocchia poteva diventare un centro propulsore di cultura, solidarietà e umanità.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, fu arruolato come cappellano e visse il conflitto direttamente al fronte, dove la sua sensibilità venne, comprensibilmente, scossa dalla brutalità della guerra. Egli ricordò così, senza mezzi termini, quei drammatici momenti: “Ancora distruzione, ancora stragi, ancora massacri, carneficine e poi nuovi anniversari di sangue e di dolore con sempre dinanzi il fantasma gigantesco di questo lento terribile suicidio di una civiltà [...] che si dilania da se stessa…”

Al termine della guerra, fece ritorno ad Argenta, dove la sua attività si intensificò, in particolare perché era necessario uno sforzo titanico per “formare delle coscienze solide, ben temprate sul piano morale” e ricostituire il tessuto sociale lacerato dal conflitto, che egli definì “immane flagello”. 

Nel frattempo, assistette all’ascesa del potere di Benito Mussolini (sottolineando il fatto che parlava con “con frasi convulse e dittatorie”) e del fascismo, rendendosi presto conto della pericolosità e della violenza di quel movimento. 

Il coraggio e la determinazione, però, non mancavano di certo a Don Minzoni e queste sue parole, che egli scrisse in una lettera inviata ad un amico presbitero, ne sono la testimonianza: “Quando un partito (il fascista) [...], quando uomini in grande o in piccolo stile denigrano, violentano, perseguitano un’idea, un programma, per me non vi è che una soluzione: passare il Rubicone e quello che succederà sarà sempre meglio che la vita stupida e servile che ci si vuole imporre”.

Le sue attività nel territorio e le sue critiche alla violenza del regime gli attirarono presto le antipatie dei fascisti, i quali, con un vile agguato, lo aggredirono, picchiandolo selvaggiamente a manganellate, mentre faceva ritorno alla canonica, la sera del 23 agosto 1923. 

Purtroppo, Don Minzoni non riuscì a sopravvivere all’imboscata e morì la sera stessa, ma la sua storia, quella di un uomo veramente libero che ha sacrificato se stesso in nome della cultura e della fratellanza, ancora oggi è l’emblema di una vita retta e coraggiosa, un esempio che, a un secolo di distanza, nemmeno la violenza è riuscita a cancellare. 

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