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Romagna terra di grandi personaggi

Romagna terra di grandi personaggi

A cura di Lorenzo Matteucci

Luigi Maria Ugolini, lo "Schliemann" romagnolo

Recentemente la sua opera, benché in parte compromessa dallo stretto rapporto con il regime fascista (dal quale Ugolini sembrò tuttavia prendere le distanze negli anni Trenta), è stata gradualmente riscoperta e rivalutata

“Entrati in mare

Ne spingemmo oltre agli cerauni monti

A Butroto vicini, onde a le spiagge

Si fa d’Italia il più breve tragitto.

[...]

Poscia i liti d’Italia. Italia! Acate

Gridò primieramente; Italia! Italia!

Da ciascun legno ritornando, allegri

Tutti la salutammo”.

È forse grazie al fascino esercitato da queste parole, estratte dal terzo libro dell’Eneide virgiliana, che Luigi Maria Ugolini, sulle orme di uno dei ‘mostri sacri’ dell’archeologia, il tedesco Heinrich Schliemann, si mise sulle tracce dell’antica Butrinto, in Albania. Come infatti Schliemann aveva condotto le sue ricerche basandosi sui poemi omerici, così Ugolini era convinto che le “invenzioni poetiche” potessero celare “un nucleo storico capace di resistere ad una serena critica”.

Nato a Bertinoro, da famiglia umile, nel 1895, Ugolini si interessò fin da giovane all’archeologia. Infatti, dopo aver combattuto tra le fila degli alpini durante la Prima Guerra Mondiale - tra l’altro perdendo anche un rene - si laureò dapprima presso la facoltà di lettere dell’Università di Bologna, per poi frequentare, negli anni tra il 1922 e il 1924, la Scuola archeologica di Roma. 

Terminata la formazione, fu subito inviato ‘sul campo’, compiendo studi in Albania (a Fenice e, come già menzionato, a Butrinto) e a Malta, dove la sua attività si concentrò in particolare sui templi megalitici di età preistorica. Lavorò intensamente fino al 1936, anno in cui si spense a Bologna.

Ugolini si districò nella complicata realtà politica dell’epoca, anche se seppe solo parzialmente sottrarsi alle pretese dell’opprimente dittatura fascista, che sosteneva le sue spedizioni e le sue scoperte con un malcelato intento nazionalista e propagandista (l’uso politico dell’archeologia e della cultura non era, purtroppo, una novità). 

Recentemente la sua opera, benché in parte compromessa dallo stretto rapporto con il regime fascista (dal quale Ugolini sembrò tuttavia prendere le distanze negli anni Trenta), è stata gradualmente riscoperta e rivalutata, in particolare per quanto riguarda il suo approccio scientifico alla ricerca archeologica.

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