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Cronaca

Le tracce della Shoah a Ravenna: fra tragedie umane e atti di eroismo

Il segno indelebile dell'Olocausto sul territorio ravennate. Dalle vittime della deportazione, agli ebrei salvati da coraggiosi concittadini. Quattro storie per non dimenticare

Ogni anno, il 27 gennaio, si celebra il Giorno della Memoria per commemorare le vittime dell'Olocausto. Una data simbolica scelta perché, in quel giorno del 1945, le truppe dell'Armata sovietica liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Una data che molti, erroneamente, associano a un evento terribile, ma lontano da noi sia nel tempo che nello spazio. Le cose sono purtroppo ben diverse.

L'Italia, e anche la città di Ravenna, furono purtroppo teatro delle violenze e degli orrori che composero la tragedia umana dell'Olocausto. Una tragedia che nel nostro Paese partì con l'emanazione delle leggi razziali fasciste, applicate a partire dal 1938. In proposito è bene ricordare che questo insieme di leggi, rivolte in particolare contro gli ebrei, ebbe come regista la dittatura fascista, ma vide anche la collaborazione o tacita accettazione degli italiani.

Conseguenza dell'adozione di queste leggi discriminatorie e liberticide fu, fra le altre cose, anche la deportazione di migliaia di persone verso i campi di concentramento e sterminio presenti in varie parti d'Europa. Dalle stazioni di ogni parte d'Italia partirono treni stipati di persone inerme, stipati come bestie dentro i vagoni. E ciò avvenne anche a Ravenna.

La stazione di Ravenna e le vittime dell'odio

Il 27 gennaio di ogni anno l'amministrazione comunale, le forze armate, l'Anpi e altre associazioni rendono omaggio alle vittime dell'odio razziale con una cerimonia alla stazione ferroviaria di Ravenna, dove una targa commemorativa ricorda una orrenda pagina della nostra storia. Tra il dicembre del 1943 e il gennaio del 1944 trentuno ebrei furono rastrellati in tutta la Romagna e carcerati a Ravenna. La notte del 25 gennaio i prigionieri in catene furono spinti sui vagoni e trasportati fino a Milano per essere rinchiusi nel carcere di San Vittore. Il 30 gennaio i prigionieri furono infine deportati ad Auschwitz. Uno solo di loro riuscì a tornare indietro al termine della guerra.

Questi i nomi dei 31 deportati: Hilde Fanny Abraham (anni 38), Elsa Bidussa (anni 41) con le figlie Vera Pinto (24) e Wanda Pinto (16), Ida Caffaz, (62), Emma Del Vecchio (63), Amalia Fleischer (58), Lucia Forti (64) con le sorelle Elda (62), Lina (60) e Anna (58), Sabine Haas (58), Matilde Hakim (46) con i figli Nino Matatia (19) e Camelia Matatia (17), Diana Jacchia (62) e con la sorella Dina (59), Simeone Krzentowsky (55) con il fratello Salomone (54) e la cognata Sally (49), Angelo Piazza (69) con la moglie Margherita Ascoli (61) e la figlia Maria Luisa (34), Umberto Sanguinetti (53), Gersch Talmatzky (51) con la moglie Ethel Katz (53) e i figli Regina (29) e Valerio (24), Siegfrid Wohlgemuth (55), Elsa Zamorani (60) con il figlio Gino Guglielmi (32).

La scuola di Roberto

Sempre a Ravenna, presso la Scuola elementare Mordani, è presente una targa commemorativa in ricordo di Roberto Bachi. Roberto era un bimbo ebreo che abitò abitò a Ravenna per un solo anno, prima che suo padre fosse prima trasferito e poi collocato in congedo assoluto per via della sua religione. Roberto frequentò a Ravenna la quarta classe elementare nell’anno scolastico ’37-’38. Fu per lui l'ultimo anno di scuola, perché per le leggi razziali i ragazzi ebrei non potevano più frequentare la scuola. Secondo alcune ricostruzioni, nel 1943 Roberto e suo padre caddero nelle mani dei tedeschi a Torrechiara (Pr), furono caricati sul treno e poi condotti ad Auschwitz. Quel convoglio partì il 6 dicembre 1943, Roberto aveva allora 14 anni. Dal campo di concentramento non fece mai ritorno.

Cotignola, la "città dei Giusti"

Per fortuna il nostro territorio è stato protagonista anche di storie di coraggio ed eroismo nel periodo della seconda guerra mondiale. Una di queste riguarda la città di Cotignola dove, fra la fine del 1943 e la primavera 1945, vari cittadini accolsero e nascosero nelle proprie case 41 ebrei provenienti da varie zone d'Italia. Si trattò di una straordinaria rete di protezione organizzata dal commissario prefettizio Vittorio Zanzi, da alcuni sacerdoti cattolici locali e poi impiegati comunali e cittadini che per mesi riuscirono a nascondere la presenza degli ebrei, ma anche di perseguitati politici ed ex prigionieri ricercati dai tedeschi.

Per questo straordinario impegno e per aver messo a repentaglio le proprie vite proteggendo quelle degli altri, i nomi dei cotignolesi Vittorio e Serafina Zanzi,Luigi e Anna Varoli, ma anche dei bagnacavallesi Antonio Dalla Valle e dei membri della famiglia Tambini sono onorati nel Giardino dei Giusti in Israele.

I Finzi e i Muratori: due famiglie unite contro l'odio

Aveva otto anni Cesare Moisè Finzi quando il 3 settembre 1938 andò a comprare il giornale per il padre e lesse un titolo in copertina che sconvolse la sua vita: Insegnanti e studenti ebrei esclusi dalle scuole governative e pareggiate. "Io non ho più potuto avere amici" ricordava il signor Finzi lo scorso anno, quando il consiglio comunale di Ravenna gli conferì la cittadinanza onoraria.

Nato a Ferrara nel 1930, il piccole Cesare fu espulso dalla scuola italiana proprio nel 1938, perché ebreo, a seguito dell’emanazione delle leggi razziali e completò i suoi studi nella scuola ebraica dove ebbe fra gli insegnanti anche il giovane Giorgio Bassani. Per scampare alla deportazione nel 1943 fuggì in treno dalla propria città con tutta la sua famiglia: un totale di 10 persone, fra cui 6 bambini. Era il 19 settembre quando giunsero a Ravenna e, non sapendo dove passare la notte, la famiglia suonò il campanello di Gino Muratori che tempo prima aveva incontrato lo zio di Cesare Moisè Finzi, promettendogli aiuto. I

La famiglia Muratori accolse quella di Cesare, offrendo loro loro cibo e abiti pesanti. Gino e Pina Muratori per questo atto di generosità furono insigniti del titolo di “Giusti tra le Nazioni”. La famiglia di Cesare Moisè Finzi poi proseguì nel suo viaggio verso il Sud Italia e la salvezza. Dopo la Liberazione tornarono a Ferrara dove Cesare potè finalmente iscriversi al liceo scientifico, poi completò gli studi con la laurea in medicina.

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