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Minichini (LpRa): "Vademecum per tutelarsi dalla banche"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di RavennaToday

A volte mi pongo la domanda del perché si è arrivati al punto di abusare dell'anglicismo, come se l'italiano non abbia le risorse lessicali adeguate. Incontro un amico, conversiamo, ad un tratto mi dice: "sai, sono andato in banca perché sono un po' preoccupato di quello sta succedendo, e quasi quasi porto via quei pochi spiccioli che ho messo da parte per la vecchiaia. L'impiegata mi ha detto che la banca è solida e che comunque non corro rischi perché non rientro nel "bail in". Mi sono fidato, sono andato via, però sto ancora pensando: che cos'è, posso stare tranquillo?" Gli rispondo che, tradotto, il bail in non è altro che una cauzione, una garanzia, a seconda dei casi. In pratica, significa che colui che detiene le azioni, le obbligazioni, un conto corrente, fa da garante per la propria banca nel caso questa dovesse fallire. Procediamo con ordine. Il Consiglio dei ministri del Governo Italiano, con Decreto Legislativo 180/2015, ha dato attuazione alla "BRRD" (Bank Recovery and Resolution Directive) per attenuare le procedure d'infrazioni europee a carico dello Stato in caso di dissesto bancario. La BRRD è una direttiva europea varata il 15 maggio 2014, che, oltre a investire le autorità di vigilanza sulle operazioni bancarie di ampi poteri e strumenti, accolla agli azionisti e creditori di una banca gli oneri in caso di fallimento. Ma veniamo ai suoi effetti pratici. Dal 1 gennaio 2016, per i salvataggi delle banche non saranno più utilizzati soldi pubblici, cioè finanziamenti dallo Stato, ma dovranno provvedervi direttamente le banche attraverso gli azionisti, gli obbligazionisti e, infine, i titolari di conto corrente con un deposito oltre i 100 mila euro (adottando il bail in). Sono esclusi i conti correnti con somme inferiore a 100 mila euro, poiché protetti dal Fondo garanzia, ovviamente, salvo ripensamenti dell'ultima ora che il governo attuale ci ha abituati a considerare.

Tutti, ormai, sono venuti a conoscenza, sia attraverso la tv che dalla stampa, dell'altissimo sacrificio dei risparmiatori sulla crisi di quattro banche. Ora, se è buio pesto per chi ha investito in azioni o obbligazioni convertibili, non lo è da meno per chi aveva nel conto corrente di queste banche una somma superiore ai centomila euro, poiché la norma approvata dal Governo è retroattiva, cioè colpisce anche i depositi precedenti. Saranno pochi, saranno tanti, di certo la maggior parte è frutto di sacrifici di una vita, magari tenuti in standby, come suol dirsi, cioè in attesa di comprare la casa a un figlio o che una figlia si sposi, oppure come forma di assicurazione per la vecchiaia in caso non tutto vada come si sperava. Sulle cause del dissesto di queste banche, spetta alla magistratura accertare le responsabilità. Ma saranno sicuramente i Giudici Costituzionali a essere chiamati in causa, per stabilire se la direttiva europea e il decreto legislativo del governo rispettino o no l'inviolabile Costituzione italiana. "Qui Finanza" del 2 febbraio scorso, riporta che Claudio De Rose, presidente onorario e procuratore generale emerito della Corte dei Conti, ritiene di no, in particolare per contrasto con l'art. 47 della Carta dei diritti secondo cui "La repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme". La conversione forzosa delle azioni e delle obbligazioni in titoli di minor valore e il prelievo forzoso dei conti correnti sopra i 100 mila euro, senza contropartite, "nè incoraggia - dice De Rose - nè tutela il risparmio". È "palese" inoltre, in violazione dell'articolo 3 della Costituzione, la disparità di trattamento tra i depositanti, gli azionisti e obbligazionisti, giacché questi ultimi avrebbero una contropartita, gli altri no.

Ciò che interessa è prevedere una forma di tutela, da oggi in poi, al fine di non cadere nel buio come ci sono cascati tanti ignari cittadini, ma anche imprenditori, allettati dalle proposte dei banchieri. C'è un indicatore, "Common equità tier 1 (Cet1)", che è il più importante da considerare, in quanto misura la base di rischio del totale delle attività di un determinato istituto bancario. Le norme europee prevedono come minimo un Cet1 dell'8 per cento. Quindi, più alto è il suo valore, più siamo al cospetto di una banca solida. Sempreché il bilancio presentato dalla banca agli organi di controllo sia veritiero. Ma quanti tra i risparmiatori hanno tempo e competenza per leggere i bilanci della propria banca, al fine di adottare qualche precauzione quando tentano di invogliarci a investire i nostri sudati risparmi? A questo punto, sarebbe indispensabile che il nostro legislatore intervenisse e obbligasse, per legge, le banche di affiggere all'interno dei loro locali il proprio Cet1".

Pasquale Minichini, Lista per Ravenna

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